di Germana Marini - Poeta, scrittore, sceneggiatore, drammaturgo, giornalista, regista di fama indiscussa, Pier Paolo Pasolini, uno dei più ragguardevoli intellettuali del Novecento, nacque a Bologna il 5 marzo 1922 e il suo iter terreno si concluse tragicamente il 2 novembre 1975 a Roma. Quarantacinque anni sono trascorsi d’allora, ma la sua memoria rimane vivissima, come gli scritti e le opere, testimoni di una vita spesa ad affermare il suo personalissimo, anticonformistico modo di concepire i sentimenti umani e l’esistenza, che destò, sin dagli esordi, incomprensioni e scandali.
Omosessuale, ebbe un rapporto simbiotico con l’amatissima madre, e profondamente conflittuale col padre.
Risale al 1955 la pubblicazione, con Garzanti, del suo romanzo “Ragazzi di vita”, sequestrato e poi dissequestrato, con assoluzione piena al relativo processo.
Anni e anni, quelli del nostro, improntati a un dover continuamente difendersi da accuse, ordite da chi lo ritenne un “personaggio scomodo”, per l’assoluta sincerità di espressioni e intenti.
A “Ragazzi di vita” fece seguito “Accattone”, “Il Vangelo secondo Matteo”, “Il Decamerone”, “Mamma Roma”, “La meglio gioventù”, “Le ceneri di Gramsci”, “Una vita violenta”.
Come detto, un fatale destino era per lui in agguato il 2 novembre 1975, sul litorale romano di Ostia, allorché, in un campo incolto, una donna scoprì il cadavere di un uomo, in cui Ninetto Davoli riconobbe il cinquantatreenne amico Pier Paolo Pasolini.
La responsabilità dell’omicidio fu attribuita all’allora diciassettenne Piero Pelosi, che sostenne d’essere stato adescato da Pasolini alla stazione Termini di Roma.
Si parlò di un complotto politico, di segreti che si temeva Pasolini potesse lasciarsi sfuggire, ma il vero esecutore, come il movente di quel “massacro tribale”, al cui proposito sono stati versati fiumi di inchiostro, è a tutt’oggi avvolto nel mistero.
Profondamente colpita dall’esecrato evento, a poche ore dallo stesso, ho scritto di getto una composizione poetica, poi inclusa nel mio volume antologico “La notte degli orfani”, con prefazione di S.E. il Cardinale Angelo Scola e presentazione di Don Antonio Mazzi, pubblicato dalle Edizioni “Segno”, e declamata nel corso della messa in scena de “La Sagra dell’Amore”, comprensiva di liriche mie e di Padre David Maria Turoldo. Il toccante commento alla quale, ad opera del regista Salvatore Giujusa, è stato: “La poetessa libera qui quell’innegabile uomo di pensiero dallo schiumoso pettegolezzo della terra, e lo affida alla misericordia del Cielo”.
DI CHE STUPITE?
Ispirata all’assassinio di Pier Paolo Pasolini
Di che stupite, uomini dabbene,
impietosi censori, incensurati
farisei?
Di che temete?
Non ricadrà su di voi il suo sangue
rappreso, nella poltiglia di carne
il suo cuore ormai tace.
“Alfine!”, esulate, ché scomodo
e molto per troppi quel genio
smascherava irridente i vizi
dei probi e i suoi stessi vizi;
ardito, spietato.
“Eretico”, dite? “Bestemmiatore”?
Non nega:
quando mai negò la sua natura, lui?
Povera natura, umana, precaria,
di bene e di male commista,
mille volti in un volto,
sfaccettati, stridenti.
Poliedrico volto oltraggiato
di sputi,
cui l’estrema vergogna
ha precluso il riscatto.
“Non giudicate
e non sarete giudicati !”:
è dottrina di Cristo.
Cristo, infinito amore, misericordia
Immensa.
E voi, insospettati e laidi corruttori
salottieri, rotti ad ogni turpezza,
purché celata al sole,
deplorate dagli alti palchi
la sua indegna fine.
Tra trine e merletti è la morte
del giusto,
solo i topi di fogna li ammazzano
in strada,
i cani randagi, i tristi, i furfanti…
Seguitate a dissertare compiaciuti
sul massacro, sadici rovistando
nelle più gelose piaghe, scoprite
ragioni artificiose, infingarde.
La verità è una sola:
angelo e demone, mistificatore
e geniale, mite e violento,
atterrato e incensato,
egli, come tutti, fu solamente
un uomo!
Testo, successivamente apparso su accreditati periodici e rassegne culturali, a corollario della biografia di un artista impavido, che ha arditamente sfidato la ristretta e ipocrita visuale corrente.
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