2020-10-05

SEPP INNERKOFLER: GUIDA E SOLDATO


di Renato Frigerio - Le cosiddette Dolomiti di Sesto s’innalzano nella regione compresa fra la Val Pusteria a Nord, la Valle di Landro e quella di Rimbianco a Ovest, la Val Marzon e quella dell’Ansiei a Sud, la Val Comèlico e la Val di Sesto ad Est. Tutta la zona ha raggiunto una meritata notorietà, soprattutto nel mondo alpinistico, sia per le meravigliose architetture rocciose che per le appassionanti conquiste delle cime che si sono succedute dal 1869 al 1968. 

In questo non breve lasso di tempo, infatti, il viennese Paul Grohmann (1) (fondatore nel 1862 del Club Alpino Austriaco, fu uno degli scopritori delle Dolomiti, che insieme con le sue ottime guide ampezzane e cadorine scrisse grandi pagine nella storia della conquista di queste montagne) con le guide Franz Innerkofler e Peter Salcher compì la prima ascensione della Cima Grande di Lavaredo (21 agosto 1869) mentre Erich e Walter Rudolph con Gerard Bauer, nel luglio del 1968, portando a termine la scalata della Cima Ovest di Lavaredo, dopo aver superato il grande tetto della parete Nord, concludevano il ciclo delle salite più importanti. 

L’alta Pusteria che lambisce questo gruppo, potendo contare sui centri di Moso, Sesto, San Candido e Dobbiaco, richiama ogni anno una gran folla di turisti e appassionati di montagna. E in questi centri sono nate ed hanno svolto la loro attività valentissime guide e per tutte citiamo gli Innerkofler (Hans, Veit, Michele, Giovanni e Sepp), mentre fra le guide contemporanee un posto di rilievo spetta a Michele Happacher, gestore per anni del rifugio Zsigmondy-Comici, dominato dalla Croda dei Toni e dalla Cima Undici, in Val Fiscalina, nonché alpinista di prim’ordine e autore di numerosi salvataggi quale membro del Soccorso Alpino. Fra gli Innerkofler spicca però un nome ed è quello di Sepp che non solo si è distinto per la sua bravura come guida alpina, ma durante la prima guerra mondiale compì azioni audacissime dimostrando grande coraggio. E per il suo valore fu decorato in diverse circostanze con medaglie dal Comando dell’esercito austroungarico. 

Sepp Innerkofler nasce dunque a Sesto nel 1865 da una famiglia di modesti contadini e dopo le scuole elementari aiuta i genitori nel lavoro dei campi. Ma l’amore per la sua terra e per la montagna in particolare è grande tanto è vero che nel 1889, dopo aver fatto il tirocinio come portatore al fratello maggiore Michele (nato nel 1848, uno dei pionieri dell’arrampicata sulle Dolomiti, con all’attivo le prime ascensioni della Croda dei Toni, la Cima Ovest di Lavaredo e la Cima Piccola di Lavaredo, nel 1881, una delle prime arrampicate di terzo grado. Morì, nel 1888, cadendo in un crepaccio durante la discesa del Monte Cristallo), ottiene il diploma di guida alpina. L’anno successivo si mette subito in luce dopo aver scalato il camino Est sulla parete Nord della Cima Piccola di Lavaredo assieme ad Hans Helversen ed al collega Veit Innerkofler: era il 20 luglio 1890; le difficoltà toccano il quarto grado, la prima via di quarto grado, e in quei tempi si calzavano le scarpe chiodate. Questa via Sepp la ripeterà per ben 42 volte e ogni volta il compenso datogli dal cliente gli consentirà di comprare una mucca. Negli anni a seguire, dopo aver assunto la gestione del rifugio “Drei Zinnen-hutte” (l’attuale Locatelli), da dove si ha una bellissima veduta delle Cime di Lavaredo, la sua attività alpinistica non conosce soste (Monte Paterno, Sasso di Landro, Cima Ovest, ecc). e compie prime ascensioni tracciando sempre vie molto impegnative. Ormai Sepp ha raggiunto una certa celebrità e negli ambienti alpinistici di mezza Europa è ritenuto la migliore guida delle Dolomiti orientali. 

 

 

 

Gli anni trascorrono e con lo scoppio della prima guerra mondiale nuvole nere si addensano sui cieli d’Europa quale segno premonitore di paurosi eventi. Il 24 maggio 1915, data dell’entrata in guerra dell’Italia, la “Drei Zinnen-hutte”, a Forcella Toblin, si trovò inserita nella primissima linea del fronte e la situazione in Lavaredo si era fatta piuttosto critica per gli austriaci perché il Monte Paterno (2744 m), che domina tutto l’altopiano delle Tre Cime, presidiato dai nostri alpini, costituiva una pericolosa spina nel fianco dello schieramento austriaco. Alle truppe di lingua tedesca arrivò un ordine perentorio: “Bisogna sloggiare gli italiani da quella cima e riconquistarla a qualsiasi costo”. 

A questo punto, allora, mi pare sia di grande interesse conoscere il gesto compiuto da Sepp che si rese protagonista di una coraggiosa azione. Sei volontari si assumono il compito di eseguire l’ordine impartito: tre sono guide di Sesto, Sepp Innerkofler, Andreas Piller e Johan Forcher e tre Standschutzen (2), Rogger, Taibon e Rapp. Sepp li comanda ma teme che l’impresa non possa riuscire. È la mezzanotte fra il 4 e il 5 luglio 1915 quando i sei lasciano una baracca nei pressi del rifugio che, nel frattempo, a causa delle cannonate italiane, era stato ridotto ad un rudere. E qui le versioni sullo svolgimento dei fatti sono contrastanti. Quella austriaca narra che verso le 4 del mattino del 5 luglio Sepp con gli amici Forcher e Rapp, dopo un’audace arrampicata svoltasi sul camino del Paterno, arrivò per primo sotto il trinceramento che gli alpini avevano costruito a difesa della cima. Un italiano spaventato dall’improvvisa comparsa del nemico, lanciò un grido costringendo Sepp ad iniziare da solo l’attacco con il lancio di due bombe a mano che però mancarono il bersaglio. Ne nacque uno scontro a fuoco nel quale Sepp venne colpito in fronte precipitando per una cinquantina di metri ed arrestandosi ormai senza vita all’apertura del Camino Oppel. Così la pattuglia austriaca, perso il suo capo e con Forcher anch’esso ferito, dovette ritirarsi. La versione italiana, tramandataci da Antonio Berti (3) è forse più attendibile in quanto, trovandosi egli stesso appostato a Forcella Lavaredo, ha potuto seguire lo svolgimento di questa audacissima impresa. La trascriviamo integralmente: “L’episodio del Paterno (4-5 luglio 1915)”. – Sono in sei, volontari in guerra, tre più che cinquantenni, guide rinomate della Val di Sesto in Pusteria (Sepp Innerkofler, Andreas Piller, Johan Forcher). Hanno ricevuto l’ordine di arrampicarsi sul Paterno e di occuparne la cima. Sono armati di moschetto e di granate a mano. Escono da una baracca presso la “Drei Zinnen-hutte” devastata dall’incendio. Esce con essi un pattuglione di una trentina di Kaiserschutzen (4) e Standschutzen con qualche soldato del genio guidato da Christl, fratello di Sepp. Le Tre Cime di Lavaredo si levano spettrali nella notte, inargentata pallidamente dalla luna, stagliate nel cielo terso. Si tuffano nel buio e nel silenzio. Nella notte fonda un ragazzo, il figlio di Sepp, staccate le braccia dal collo del padre, resta là, fermo, fissando a lungo quel buio dove la cara figura è scomparsa; poi si scuote, si volta, corre e si arrampica sul Sasso di Sesto ad attendervi spasmodicamente l’alba: per vedere. I sei ed il pattuglione passano presso la Salsiccia (il Frankfurter Wurstel) e imboccano il canalone ghiaioso che scende dalla Forcella del Camoscio. Procedono furtivi, lenti, per non smuovere sassi che possono destare l’allarme. Nell’alto delle ghiaie il Christl col suo pattuglione si ferma, resta in attesa degli eventi. I sei calzano le scarpette da croda e attaccano la parete del Paterno. Salgono sicuri nel buio; conoscono perfettamente la via. È quella “via Nordnordovdest” che lo stesso Sepp nel 1896 ha percorso per primo e ripetuta innumerevoli volte. Salgono da un’ora: sono quasi in cresta. Sopra Cima Undici, si diradano sempre più le stelle, spunta e si dilata un pallido chiarore: l’alba. Giungono sulla cresta. L’alta vetta del Cristallo s’indora. Un rombo e un sibilo alto: è il Monte Rudo che spara. Altri due rombi e due sibili più bassi: è ancora il cannone austriaco che rettifica il tiro. Un quarto rombo ed un fragore di roccia colpita e frantumata. Il tiro è aggiustato, subentra di nuovo il silenzio. Ora i sei salgono uno dietro l’altro, per il filo della cresta. 

Da Forcella Pian di Cengia gli alpini scorgono le sei sagome nettamente profilantesi nel rosso del cielo. È l’allarme. Mentre i sei escono in parete Ovest, si svegliano i pezzi e le mitragliatrici di Lavaredo. Pronte rispondono tutte le mitragliatrici austriache. Sopra il frastuono rombano i cannoni di Monte Rudo, un mortaio del Sasso di Sesto, un pezzo da 80 che sembra appostato nei pressi di Forcella Toblin, un obice da 105 che dalla Torre degli Scarperi spara insistentemente contro la Forcella di Pian di Cengia. E quelli sempre si arrampicano, a scatti, a sbalzi, si appiattano dentro ogni cavo, dietro ogni costola… Una scheggia rimbalza sulla fronte di Sepp; gli riga la faccia di sangue, gli si offuscano gli occhiali, e continua a salire. Una pietra colpisce Forcher in fronte, sanguina, e continua a salire. Hanno quasi raggiunta la cima. Come ad un segnale d’un tratto, al frastuono, alla raffica ininterrotta di pallottole e schegge, succede un assoluto silenzio. In tutta la valle, su tutte le forcelle, sulle cime, di qua e di là delle trincee, si stende uno stato spasmodico di attesa. Si è scorto là in alto un uomo: è lassù, lento, che ascende. Eccolo, è giunto a dieci passi dalla cima. Si fa il segno della Croce e con ampio arco di mano lancia la prima bomba oltre il muretto della vedetta della cima. Lancia la seconda e poi la terza. D’improvviso appare, dritta, sul muretto della vedetta della cima, la figura di un alpino, campeggiante nel tersissimo cielo, alte le mani armate di un masso, rigata la fronte di rosso da una scheggia della prima bomba. “Ah! No te vol andar via?”. Prende giusto la mira, scaglia con le due mani il masso. Il Sepp alza le braccia al cielo, cade riverso, piomba, s’incastra nel camino Oppel. Morto. Sulla vetta, indorata dal primo raggio di sole, sta ritto l’alpino che ha salvato il Paterno. Solo, trionfale, più alto del Monte: Piero De Luca del Battaglione “Val Piave”. 

Antonio Berti che come abbiamo visto ha assistito a questo duello leggendario, ha subito intuito che l’uomo che tanto ha osato non poteva che essere Sepp Innerkofler, la grande guida delle Dolomiti. Un suo alpino mosso dal desiderio di far certa l’identità dell’uomo e di rendere onore all’eroe, una notte si calò dalla cima fino al camino Oppel. Poi, aiutato dall’alto, issò con corde la salma sotto le fucilate austriache. Sulla vetta del Paterno, dopo aver praticato una fossa con la dinamite, gli alpini lo seppellirono. Sulla sua tomba posero una croce di legno con la più semplice delle iscrizioni: Sepp Innerkofler – Guida. 

Avvenuta successivamente l’invasione austriaca la salma fu trasportata a valle e oggi riposa nel cimitero di Sesto. “Ce ne duole” – ebbe a scrivere Antonio Berti. “Avremmo amato, arrivando lassù, ritrovarla per inchinarci di fronte a un eroismo che ha onorato la Montagna al di sopra di ogni confine di Nazione”. 

 

 

 

(1)  Il grande esploratore delle Dolomiti fu innanzitutto l’alpinista austriaco Paul Grohmann (1838-1908), che con le prime guide cortinesi salì molte delle grandi cime della regione: Tofana di Mezzo, Tofana di Roces, Antelao, Sorapiss, Monte Cristallo, Punta dei Tre Scarperi, Sassolungo, Cima Grande di Lavaredo; sul versante settentrionale della Marmolada, attraverso il ghiacciaio (il più grande delle Dolomiti: 3,3 Kmq), alla Punta Rocca, nel 1862, e, nel 1864, alla Punta Penia, di 3343 m, la cima più alta della Marmolada e la più elevata di tutte le Dolomiti. Raccontò la sue esplorazioni in “Wanderungen in den Dolomiten”, 1877, (trad. it. “La scoperta delle Dolomiti”, Nuovi Sentieri, Belluno, 1982). 

(2)  Tiratori al bersaglio tirolesi.

(3)  Antonio Berti (1882-1956) medico e alpinista vicentino, ufficiale degli alpini, è  l’autore della stupenda “Guida delle Dolomiti orientali”, edita nel 1908. Al suo nome è dedicata una Fondazione che si occupa della tutela e dello studio delle Alpi venete. 

(4)  Fucilieri imperiali tirolesi. 

 

 

 

 

 

Bibliografia – Casa Editrice Athesia, Bolzano:

Guerra tra le cime, 1915-1917 di Peter Kubler/Hugo Reider;

La guerra in montagna, 1915-1918 di Heinz von Lichen;

La guerra fra rocce e ghiacci, 1914-1918 di Gunther Langes.

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