di Germana Marini - Rinverdire la memoria di chi ha vissuto la realtà di un servizio, sotto ogni aspetto eccellente: quello elargito dall’Ospedale lecchese di via Ghislanzoni, nel corso di dieci intensi anni, compresi tra l’ottobre 1989 e il 1999, e ragguagliare nel contempo le nuove generazioni in merito alla partecipazione dei medici a stage propedeutici all’accrescimento delle acquisizioni scientifiche, messe a frutto all’interno del contesto ospedaliero stesso: ecco le finalità di questo mio revival.
Il raccogliere in una pubblicazione unitaria, edita dall’Editrice C.B.R.S., una nutritissima serie d’interviste ai primari di ogni singola Divisione del presidio cittadino, da me effettuate in un lungo “Viaggio nel pianeta sanità”, mensilmente apparse sul periodico nazionale “il Punto Stampa”, si deve alla lungimiranza del direttore Claudio Redaelli, Consigliere dell’Ospedale provinciale di Lecco dal 1965 al 1981 e Vicepresidente dal 1975 al 1981. Pubblicazione dalla tiratura di 300 copie, in men che non si dica esaurite.
<< Questa singolare iniziativa >>, ebbe a dichiarare Redaelli, << posta in essere grazie alla preziosa collaborazione della giornalista Germana Marini e alla cortese disponibilità degli operatori sanitari, è di enorme rilievo, in quanto l’Ospedale rappresenta un’autentica risorsa, un fiore all’occhiello per Lecco, apprezzato com’è in ambito europeo, al punto che da ogni parte giungono qui per affidarsi a mani provatamente esperte >>. Aggiungendo: <<Posso ben dire che le articolate interviste della Marini rimarranno ad esempio di un servizio giornalistico esclusivo, reso possibile dal lodevole impegno professionale, sia di chi le ha curate, che di chi ne è stato protagonista. Mi corre quindi l’obbligo di ringraziare sentitamente, non gli specialisti soltanto, bensì il personale infermieristico, paramedico, ausiliario, i tecnici e tutti coloro che si sono prodigati al fine di dar lustro a questa privilegiata
struttura >>.
Una premessa indispensabile per tornare ad informare i lettori della prosecuzione di un mio settimanale resoconto a riguardo, giocoforza schematico per non occupare troppo spazio.
Continuiamo il nostro viaggio con l’occuparci di un intrigante argomento, relativo all’apporto nell’Ortopedia lecchese rappresentato da una metodica assolutamente rivoluzionaria che, in ragione della sua complessità, arduo sarà il riassumere.
“Proprio per trattare della stessa”, questo l’incipit della mia intervista all’équipe medica preposta ad applicarla, “giungiamo nella Divisione di Ortopedia e Traumatologia del nosocomio lecchese, fin dal primo mattino affollatissima, aprendoci a stento un varco tra una marea di pazienti, affluiti un po’ da ogni dove.
“Quella che vede è, purtroppo, la quotidiana realtà”, ci accoglie Piero Vannucci,infermiere professionale e ferrista in sala operatoria. “Uno stato di cose determinato dal fatto che per numero d’interventi ed esperienza, il nostro Centro non è paragonabile a nessun altro nel mondo”. E così dicendo c’introduce in uno studio, dove il dottor Maurizio Catagni ci attende, confidando di poter discutere in pace per qualche momento. “Certo, guardandosi attorno, uno è preso da sgomento”, sorride, “ma si deve tener presente che alla nostra attività di chirurgia Ilizaroviana, che nella percentuale rappresenta il 10/15%, affianchiamo un’attività
didattica, con un grande movimento di medici che dall’estero arrivano per venir edotti in materia”.
“A beneficio di chi ancora l’ignorasse”, chiedo, “ci illustrerebbe attraverso quali vicissitudini la metodica di Ilizarov ha potuto giungere, dalla Siberia, in Italia?”.
“Il nostro notissimo esploratore Carlo Mauri”, spiega, “nel 1979 è risultato affetto da una osteomielite alla gamba, per cui, su consiglio di un medico russo, certo Yuri Senkvenich, è ricorso alle cure di un suo collega di Kurgan. A risultato brillantemente raggiunto, Mauri è tornato a Lecco ed ha mostrato al vice primario, dottor Angelo Villa, e quindi al primario, professor Roberto Cattaneo, la documentazione del “prodigio”, verificatosi grazie alla scoperta del professor Ilizarov. Quest’ultimo è stato poi invitato a un congresso, tenutosi a Bellagio, e nel nostro reparto ha eseguito il primo dimostrativo intervento. Maturata una certa pratica, ci siamo ripetutamente recati in Siberia, quando non era lui a raggiungerci a Lecco. Alla tecnica appresa, negli anni a venire abbiamo aggiunto molto di nostro, pervenendo a risultati insperabili”. Dati alla mano, elenca il cospicuo numero di operazioni chirurgiche del tipo, effettuate all’attivo: dalle 1800 alle 2000, “visto che uno stesso paziente”, precisa, “capita ne subisca più d’una, con un allungamento di due gambe, due femori, due omeri, a bilaterale correzione di deformità”.
“La domanda che sorge spontanea”, osservo, “è come possiate riuscire a fronteggiare una così massiva richiesta”. Al che, tanto Catagni che Vannucci, evidenziano come sarebbe auspicabile che l’assistenza pubblica desse il massimo in termini di organizzazione ed efficienza, giacché quantunque “ci facciamo in quattro”, le liste d’attesa rimangono chilometriche. Occorrerebbe creare a livello regionale un “Centro pilota”, del quale l’esigenza diviene, di giorno in giorno, più imperiosa. Sarebbe veramente un delitto, sotto il profilo morale, sociale e scientifico che questo preziosissimo patrimonio pubblico andasse perduto, e ciò in previsione anche del ricambio, di quando sia noi che il primario e il suo vice, nonché il dottor Incerti e gli assistenti Guerreschi, Bartesaghi e Rigoni, andremo in pensione”.
Il medesimo concetto espresso anche dal primario, professor Roberto Cattaneo:
“Considerati i livelli raggiunti in campo nazionale e internazionale, si rende indispensabile per la continuità del nostro lavoro l’esistenza di una sezione all’interno del reparto, unicamente finalizzata ad attuare il trattamento di Ilizarov.
Quelli sui quali dobbiamo far leva sono i gruppi politici e l’assessorato alla sanità della Regione Lombardia, cui si dovrebbero rivolgere i dirigenti del Comitato di gestione dell’USSL 16 di Lecco”.
Mentre alla domanda: “Qual è la penetrazione che nel campo scientifico internazionale comporta l’impiego della metodica sovietica, così come è applicata nel lecchese?”.
“Un’approfondita testimonianza in merito viene da noi fornita dalla presenza a congressi internazionali, indetti dalla Società di chirurgia, ortopedia e traumatologia”, risponde. “Società d’élite che raggruppa gli ortopedici più affermati a livello universale, per far parte dei quali non basta presentare domanda, bensì essere cooptati”.
“Il nostro reparto ha acquistato una notorietà, che dire “Ilizarov” equivale a dire “Lecco” “, commenta il dottor Maurizio Catagni. “Non per nulla i nostri corsi, in media sei all’anno, che d’abitudine io personalmente tengo negli Stati Uniti, oltre ad altri di carattere internazionale, hanno visto la partecipazione di un migliaio di chirurghi americani. Per non parlare dei brasiliani e messicani, dai quali siamo letteralmente sommersi”.
“Un’ultima curiosità”, chiedo, a conclusione dell’inchiesta: “Corrisponde al vero che voi siete in grado di “fare i nani grandi”, come con un’espressione comune si dice?>>.
“Non proprio. Dicono che se anche gl’individui troppo alti possono sentirsi a disagio, come testimonia Gaetano Tumiati nel suo libro “Questione di statura”, ciò tanto più accade a quelli “rasoterra”, per cui parecchie sono in realtà le persone che ricorrono a noi, a causa di questo assillante complesso. Ma, contrariamente a quanto si pensa, e pur avendo noi fama di “allungare i nani”, il da lei menzionato intervento rappresenta meno dell’1% dei trattamenti di Ilizarov. E non sono del resto queste le operazioni che gratificano un chirurgo, nel senso che ci sembra decisamente più utile riportare il paziente, divenuto invalido, allo stato di normalità”.
Avrei tanto gradito effettuare un’intervista anche al dottor Angelo Villa, vice primario, che ha avuto un ruolo altrettanto importante nell’attuazione dell’innovativa tecnica Ilizaroviana, ma era purtroppo assente.
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