Dal lecchese Sergio Fenaroli riceviamo e pubblichiamo:
L’obiettivo della pace tanto auspicato da tutti impone una messa in discussione di tutti noi, del nostro modo di pensare e di agire, nel collocarsi storicamente negli eventi vissuti, nell’individuarne gli errori compiuti e nel contempo immedesimarsi nelle ragioni dei nostri “avversari”, o presunti tali, che hanno subìto le nefaste conseguenze di uno sviluppo ineguale per il tracotante dominio militare imposto dai regimi e dai potentati occidentali della vecchia Europa.
Gli stessi popoli asiatici non sono stati indenni rispetto alle nostre malefatte: la crisi indocinese e la guerra del Vietnam lo testimoniano palesemente, assieme alla crisi medio-orientale rappresentata dal mancato riconoscimento del popolo e dello Stato di Palestina e lo Stato d’Israele, l’invasione dell’Iraq e la vergognosa fuga, dopo 20 anni di guerra, dall’Afghanistan.
Non paghi di queste storiche disfatte, le élites occidentali anglosassoni guerrafondaie hanno orchestrato i Governi dell’intera Europa debole e subalterna, dal dissolvimento dell’Unione Sovietica, per accerchiare e colpire il nemico storico di sempre, la Russia.
Il buco nero, la “pancia molle”, era stato ben individuato dai nostri alleati di Oltreoceano sin dagli anni’90, era l’Ucraina. La molla che li animava era l’anticomunismo, l’antisovietismo, la russofobia da sempre esistita e scientemente alimentata su popolazioni che una volta acquisita la loro indipendenza dal potere centrale di Mosca hanno trovato buon gioco sia tra gli Stati facenti parte del blocco sovietico, o meglio del Patto di Varsavia, sia dalle stesse ex Repubbliche sovietiche dominate in precedenza dall’impero zarista, l’Armenia, la Georgia, le Repubbliche baltiche.
Lo stesso popolo russo ne trasse vantaggi dal punto di vista delle libertà democratiche, la formazione di altri partiti e forme associative non ne erano per nulla abituati, vi fu chi ne approfittò nel primo decennio sotto la guida disastrosa di Eltsin, si formarono gli oligarchi “ladri legalizzati”, la Russia non era più lo Stato guida del socialismo reale, ma un Paese depredato. Tutto cambiò con l’elezione di Putin a capo della Federazione russa.
Fomentare l’odio e i rancori dopo oltre 70 anni di dominio sovietico, risvegliare i nazionalismi, cavalcare il populismo fu un gioco da ragazzi. Il tutto oleato da armi e miliardi di dollari non solo americani ma dalla stessa Nato.
Si è giunti alla destituzione del presidente Janukovyc, filorusso, con il colpo di Stato di piazza Maidan del febbraio 2014, immediatamente riconosciuto dal Governo Usa, si dissociarono le popolazioni della Crimea che senza colpo ferire grazie a un referendum al 96% scelse di rimanere con la Federazione russa a differenza delle popolazioni russofone del Donbass, che vennero sistematicamente bombardate dal Governo di Kiev.
La comunità internazionale e alcuni Stati dell’Unione europea intervennero con gli accordi di Minsk del settembre 2014 per favorire una pacificazione, un cessate il fuoco, purtroppo con un nulla di fatto.
L’elezione dell’attuale presidente Zelensky avvenuta nel 2019 fece ben sperare per la pace. Lui si presentò con un programma che prevedeva il riconoscimento e l’autonomia amministrativa del Donbass, l’insegnamento della lingua russa nelle scuole, in precedenza vietata, la non entrata nella Nato da parte dell’Ucraina, a salvaguardia della sicurezza della stessa Federazione russa.
Lo stesso discorso di insediamento al Parlamento ribadiva tali principi, ma venne invitato a recarsi sul luogo dei combattimenti del Donbass per accertarsi dell’accordo delle milizie filonaziste coinvolte ormai da 5 anni nei combattimenti. Lo invitarono a rinunciare a tali propositi, pena la sua impiccagione e dei suoi familiari nel viale principale di Kiev.
Questo fu il clima interno e la complicità internazionale a noi occultato, nel quale si verificò la scelta scellerata di Putin di intervenire militarmente in Ucraina il 24 febbraio 2022, dopo avere arbitrariamente assimilato le due Repubbliche del Donbass a territorio della Federazione Russa.
Il 19 settembre scorso abbiamo assistito alla definitiva aggressione dell’esercito dell’Azerbaijan nel Nagorno-Karabakh contro la popolazione armena imponendo di fatto l’esodo di oltre 120mila armeni che da millenni vivono in quelle terre montane ricche di storia e di monasteri, ponendo arbitrariamente fine alla autonominata Repubblica dell’Artsakh, nel complice silenzio interessato della comunità internazionale e dell’Unione europea che per coerenza avrebbe potuto e dovuto evitare.
Anche il dramma del popolo armeno colpisce le nostre coscienze, impone una seria riflessione e offre un insegnamento universale che induce a favorire la coesistenza pacifica nel rispetto delle reciproche credenze e culture, un motivo in più per abiurare l’uso delle armi in alternativa all’uso della ragione e della cultura.
Le forze progressiste nazionali e europee devono uscire dalla loro ambiguità, non possono più nascondersi dietro la nenia dell’aggressore e dell’aggredito, devono recuperare la loro credibilità. In Ucraina si continua a morire non certo in difesa della nostra libertà, nessuno sarà vincitore, nessuno deve uscire umiliato. Fermiamoci!
Sergio Fenaroli (Lecco)
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