2023-02-13

GHISLANZONI VA DIETRO LE QUINTE DEL TEATRO


Lorenzo Morandotti - Il filologo classico lecchese Franco Minonzio torna a studiare l’Ottocento a torto ritenuto minore e in particolare lo scrittore Antonio Ghislanzoni di cui ha già curato le edizioni di “Un suicidio a fior d’acqua. Racconto umoristico” e “Memorie di un gatto”, entrambe uscite nel 2021 da Polyhistor di Lecco. Ora – a ottant’anni dall’ultima – tocca all’edizione a tutti gli effetti critica di un altro libro di Ghislanzoni, “Gli artisti da teatro”, quello tra i suoi che ebbe maggior fortuna editoriale tra Otto e Novecento, e consiste in un intreccio di amori perduti e destini avversi. Viene pubblicato sempre da Polyhistor di Lecco nella collana consacrata alla narrativa “Cose del mondo ignoto”. Il libro – 479 pagine, 25 euro - venne originariamente pubblicato (1857/1859) come appendice sulla rivista “Cosmorama Pittorico”, una delle prime in cui le immagini avevano un ruolo preponderante, e poi vide la luce in prima edizione nel 1865, in sei volumetti presso l’editore Daelli, di notevole successo. Rappresentazione di un mondo, quello teatrale, che Ghislanzoni, già cantante lirico, conosceva benissimo e direttamente dietro le quinte ossia dall’interno, questo romanzo sociale ne incardina “splendori e miserie” su una tragica storia d’amore. Ghislanzoni, nato a Lecco il 25 novembre 1824 da famiglia borghese, frequentò il Seminario di Castello sopra Lecco dal quale fu espulso per l’insofferenza verso l’autoritarismo dell’istituto: trasferitosi a Pavia, abbandonò in seguito la facoltà di medicina per dedicarsi alla musica. Partecipò nel 1848 alla rivolta antiaustriaca di Milano, e dopo esser vissuto alcuni anni in esilio in Francia, tornò in Italia nel 1854. Testimone e protagonista dei primi fermenti scapigliati, si dedicò ad una vorticosa attività pubblicistica e letteraria: come giornalista fondò e diresse numerosi periodici, con altri collaborò assiduamente. Fu anche librettista di grande prestigio (suo il libretto della Aida di Verdi). Moderna in particolare, sottolinea Minonzio a proposito di questo romanzo, è “l’epifania – più grottesca che patetica – della durezza di rapporti fra gli impresari e gli attori, tra gli attori fra loro, tra il teatro e il pubblico, là dove la coscienza borghese tendeva a vedere romanticamente solo un seducente immaginario”.


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