2022-04-07

“L’Adda, il nostro fiume” di Pietro Pensa. Ricordare le vicende di giorni lontani per trarne insegnamento per il futuro

Un’opera di appassionante interesse, costruita su una linea ragionata che si mosse dalle origini e, passando per gli anfratti della tradizione e del folclore, arrivò ai nostri tempi, in una rigorosa continuità storica

 




di Claudio Redaelli Era il 1997 e Carlo Maria Pensa scriveva: “Restino dunque, a memoria di mio padre Pietro Pensa, questi suoi scritti che documentano con tanto amore e con tanta vita il mondo di ieri ormai scomparso, che ha dato alla nostra gente il temperamento e le caratteristiche di ingegno, di operosità e di iniziativa che la distingue e che rende questo nostro territorio, particolarmente bello per le sue montagne e per il suo lago, luogo privilegiato dove vivere”.

Era il 1997, si è detto, l’anno della pubblicazione del terzo volume della serie L’Adda, il nostro fiumedella quale fu autore Pietro Pensa.

Trascrivere le vicende di giorni lontani, cercando di scoprire le ragioni del loro evolversi. Guardare al passato per trarne insegnamento per il futuro e migliorare la condizione presente, vincendo la tendenza, purtroppo sempre più diffusa, ad accontentarsi del traguardo raggiunto. Per questo si scrive, oltre che per dare ai giovani argomento di studio e riflessione sulla storia della loro terra. Perché il passato deve essere conosciuto e compreso.

Concetti sempre attuali, al pari dell’opera letteraria dell’ingegner Pietro Pensa, classe 1906, originario di Esino Lario, dirigente di grandi aziende, progettista, illuminato pubblico amministratore e uomo di indiscussa cultura, oltre che di spiccate qualità morali.

L’opera in questione è appunto la trilogia L’Adda, il nostro fiume data alle stampe dalle Edizioni cultura “Il Punto stampa” - Cbrs Editrice Lecco. Un’opera di appassionante interesse, costruita su una linea ragionata che si mosse dalle origini e, passando per gli anfratti della tradizione e del folclore, arrivò ai nostri giorni, in una rigorosa continuità storica che nell’aggancio alle radici del passato arrivava a trasmettere le emozioni di una bella favola e a spingere il lettore al coraggio del sogno.

Sognare, già. Ecco di cosa non devono fare a meno in particolare le nuove generazioni. Sognare e guardare alla cultura e ai valori autentici del nostro tempo. Non a caso proprio Pietro Pensa esortò i giovani a coltivare l’amore per la casa, la famiglia e il lavoro. Lo fece divulgando i documenti della storia, perché fossero conosciuti e perché potessero trarne profitto tanto le giovani generazioni quanto i loro maestri.

Molto dobbiamo a Pietro Pensa, alla sua lunga vita ricca di impegno civile e professionale, con la profusione di risorse intellettuali e morali a favore della sua gente. Con lui, chi scrive ha avuto l’onore e il privilegio di “costruire” quella trilogia oggi conservata in tutte le Biblioteche del Lecchese e ben oltre i confini provinciali, selezionando poche pagine tra la mole ingente dei suoi scritti che testimoniava la poliedricità dei suoi interessi, quindi della sua produzione: da quella scientifica a quella politica, ma pure a quella storico-letteraria e persino poetica.

Oggi più che mai l’auspicio è che quelle pagine possano trasmettere le qualità morali di Pensa, così che ne emerga il suo più vero ritratto, cogliendo l’inesauribile passione e l’entusiasmo che caratterizzavano ogni sua iniziativa, e insieme la tenacia animata dalla profonda fede nella bontà degli scopi perseguiti.

I giovani hanno bisogno di certezze. Ecco allora, senza retorica ma con legittimo orgoglio, la figura di Pietro Pensa come esempio forte e genuino. E per la carica umana con cui lui ci affidò quelle pagine è nostro intento contribuire a far sì che l’eredità ricevuta non vada dispersa.

L’osservazione attenta riconosce un tempo e un uso in qualunque oggetto o soggetto venga preso in considerazione. In ogni luogo, quindi, si possono trovare elementi che rivelano il passato, più o meno importante: possono essere antiche costruzioni, considerate magari ruderi, oppure semplici strade selciate, o ancora archi, portali, bastioni, legni lavorati o semplici strumenti d’uso domestico decorati nelle sere d’inverno.

Si tratta di utensili e attrezzi di vario tipo, comunissimi alcuni e inusitati gli altri, più o meno pregevoli nella fattura ma sempre interessanti e degni di essere conservati e studiati.

Questo è anche il caso del territorio attraversato e segnato dal fiume Adda, un territorio rimasto immutato per secoli. Soltanto dopo la seconda guerra mondiale ha subìto un cambiamento radicale che ha causato innovazioni non soltanto tecniche ma soprattutto culturali e sociali, che hanno di fatto creato una diversa società che si è sovrapposta a quella preesistente, quasi cancellandola del tutto.

Il legame inscindibile del contadino alla terra, della sua vita e di quella della sua famiglia al raccolto, ha creato nei secoli una vera e propria “filosofia” che non era soltanto rassegnazione fatalistica verso un modo di vivere che, immutato da generazione, veniva considerato immutabile. Vi era di più: la vita del contadino era la vita della campagna, della natura stessa. Il ciclo delle stagioni alternate in fasi di vita e di morte, era quello stesso della vita dell’uomo che poteva accettare il suo destino nella coscienza della bontà ultima di tale sorte: nascere, vivere tra tribolazioni e gioie, invecchiare e poi morire.

Ben lungi dall’apologia di quel mondo che, nella sua innegabile validità di molti valori oggi in crisi ricorda anche dolore, miseria e fatica, la valorizzazione delle “armi” del contadino per le sue quotidiane lotte vuole salvaguardare una cultura che presenta motivi di grande significato ed è determinante per capire molteplici aspetti della nostra epoca. 

I giovani non conoscono più il loro passato, non hanno più la consapevolezza delle loro origini. E le pagine dell’Adda, il nostro fiume sono veri e propri reperti salvati dalla distruzione, sono i testimoni di un mondo scomparso ma che deve essere conosciuto nella sua realtà storica. Sono pagine rappresentative di una cultura degna di essere ricordata.

Quanti riferimenti, poi, nella trilogia di Pietro Pensa, alle infrastrutture del nostro territorio lariano. Basti pensare al ponte San Michele di Paderno d’Adda, “raccontato” nel secondo volume e interpretato come una sorta di abbraccio tra l’acqua e la terra, dove in quello stesso abbraccio vi era il senso del nostro carattere e della nostra storia. Di quella stessa storia che riviveva proprio in quella colta opera che Pensa volle scrivere per dimostrare che la straordinaria economia, strettamente legata all’Adda, poteva non stravolgere le caratteristiche paesaggistiche e ambientali, senza per questo rinunciare a soddisfare le esigenze della moderna civiltà.

Ebbene, il ponte di Paderno era raffigurato proprio nell’immagine di copertina di quel volume e soltanto qualche tempo fa - dopo il crollo del ponte Morandi a Genova e a distanza di oltre cinque lustri dalla pubblicazione dell’opera, datata 1992 - quello scatto era tornato d’attualità. E invitava a sua volta alla riflessione.

 

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