2021-11-03

Puntata n° 1 – Rubrica Letteraria LA NEGAZIONE

Su richiesta del Direttore de: “Il Puntostampanews”, Informiamo i lettori che a partire da oggi ci sarà un appuntamento settimanale, all’interno del quale alcuni testi di Germana Marini ,pubblicati anni fa, verranno riproposti suddivisi in puntate.   

I lettori avranno quindi modo di beneficiare di una lettura a settimanali scadenze. 

   



 

di Germana Marini Il giorno del mio quindicesimo compleanno mi è rimasto nel ricordo impresso come il più lungo della mia vita. 

M’ero alzato all’alba per poter fare il bagno per primo e non come d’abitudine nell’acqua di mio cugino, perché era troppo dispendioso scaldarne dell’altra. 

Avevo indossato i pantaloni e la camicia migliori, la cravatta e una giacca nuova di zecca, che m’era stata regalata, con enormi sacrifici, dalla mamma. 

<<Ti sta a meraviglia>>, mi disse la povera donna, con gli occhi lucenti. <<Ora fai attenzione, Robertino: deve durarti un bel po’!>>. 

<<Ciao, Topo!>>, m’apostrofò mio cugino, apparendo in pigiama. <<Già pronto?... Ah, ma oggi è la tua festa… sicuro…>>. Quindi, strofinatisi gli occhi, soggiunse:  

<<Sei stata previdente, eh, zia Aurora? Il nostro Topo, lì dentro, si perde, ma in compenso può portarla in dote…>>. 

Una battuta, da parte sua; null’altro. Marco non sapeva ferire, era solo un ragazzo superficiale e viziato. Ma per me fu uno schiaffo. L’attimo prima mi rimiravo allo specchio, al settimo cielo per l’emozione e l’orgoglio, ed ora all’improvviso mi vedevo davvero: un nanerottolo né carne né pesce, caduto in una giacca! Smisi di carezzarne con sacra devozione la stoffa e mi lasciai cadere sul letto. 

Dalla porta socchiusa del bagno vedevo mio cugino, a torso nudo, davanti al lavabo. Si stava facendo la barba e fischiava: impugnava saldamente il rasoio e, ad ogni movimento, i bicipiti si gonfiavano; guizzavano duri, possenti. Era un bel fusto, Marco, e aveva diciannove anni; venti, tra due mesi, anzi. Quante erano state le stragi, seminate, al paese, fra le ragazze…. Lo chiamavano loro, sotto alla finestra. 

E lui s’affacciava sdegnoso, accampando altri prioritari impegni. 

<<Non mi piacciono le tue mocciose>>, gli avevo detto. <<Sotto i vent’anni , la donna non è donna!>>. 

<<Ah, perché tu, “sette etti”… Ma dove l’hai letto? dì un po’!>>, e si era sbellicato dalle risa. 

<<Dico sul serio!>>, m’ero accanito. <<C’è a chi piace il frutto acerbo, e chi lo preferisce maturo. Io, perlomeno, la penso così>>. 

<<Allora, Topo, ci sono buone speranze per te. Vuoi vedere che “ti cucini” la signora?...>>. 

La signora! Oggi sarebbe arrivata la signora! La notte non avevo chiuso occhio per due valide ragioni: perché avrei indossato la giacca nuova, ma soprattutto per il prossimo arrivo di lei. Ora, la giacca si era rivelata una delusione; ma m’attendeva pur sempre l’altro avvenimento: quello atteso da mesi… 

Anche la mamma era sollevata da questa prospettiva, ma per motivi diametralmente opposti. Povera mamma, si sarebbe sobbarcata un ulteriore, impegnativo lavoro, ma avremmo almeno avuto qualche entrata in più. E Dio sa quanto ci avrebbe fatto comodo… 

Lo sguardo mi cadde su uno degli innumerevoli quadri che empivano la casa, e rividi mio padre, mentre dipingeva. Passava le serate, a dipingere, dopo il lavoro: il viso ispirato, un’insopportabile odore di vernice che ammorbava l’aria. Era bello, papà, ma quando “creava” si trasformava nel vero senso del termine: 

<<Ecco, Robertino>>, esclamava alla fine, <<ti piace?... Questo qui sarà la nostra fortuna, vedrai!>>. E sentendosi un novello Picasso, pretendeva brindassi con lui: 

niente acqua, vino puro. 

Ma finivano quasi tutti appesi alle pareti della casa, i suoi “capolavori”, dopo infruttuosi tentativi di smercio in città. Faceva ritorno a testa bassa, e quella sera non cenava. Si barricava nel suo studio a smaltire l’amarezza e a meditare su un “soggetto migliore”.  Era un vero artista, ne sono convinto, superiore a quelli incensati, ma a differenza degli stessi, non aveva validi “sostenitori”, né mezzi per effettuare mostre, per mettersi in vista come si conviene. Leggeva le critiche ai vari “colleghi”, e scuoteva la testa: <<Senti cosa dicono di questo, Robertino! Senti e guarda. Ti pare meriti tanto?...>>. 

Non mi pareva no, ma non era, purtroppo, il mio giudizio, a contare… 

E così, con l’animo dell’artista, faceva il “travet”. 

Aveva un impieguccio che si teneva assai caro, dopo che era stato licenziato, pressoché sui due piedi, dalla ditta precedente, per alleggerimento di personale, e gli attuali proventi erano così magri, che solo l’abilità acrobatica di mia madre ci consentiva di mantenerci a galla. Era una donna timida e sottomessa che si privava dell’essenziale, ma mai gli aveva rinfacciato il suo “hobby”. I colori, le tele, costavano?... Non lui doveva risentirne: lui, il genio! E riutilizzava un abito ormai smesso, celando con ricami i rammendi… mangiava la frutta anche muffa, con la scusa che “la penicillina fa bene”… 

 

E poi papà aveva cominciato a tossire: una tosse stizzosa, insistente, che non ci faceva dormire, la notte. 

<< Va’ dal dottore, Federico! Non sto tranquilla, altrimenti; da bravo…>>. 

<< Sì, sì… >>, rispondeva ogni volta; ma non si decideva ad ascoltarla. 

Era tornato, un giorno, con “le lastre fresche”, che nemmeno sapevamo si fosse fatto visitare: 

<< Devo fare un viaggetto!>>, aveva commentato soltanto.  << A quel vecchio rospo del dottore non piacciono i miei quadri, ma queste anche meno, mi ha detto >>. 

<< Sondalo?...>>, aveva articolato la mamma. Una domanda che non implicava risposta. La sua semplicità era compensata da una chiaroveggenza rara; un fiuto quasi animale. 

 

Partendo, in un livido mattino di gennaio, mi aveva dato un bacio e un buffetto: <<Sarai il capofamiglia, Robertino, per un po’; vedi di esserne all’altezza! >>. 

Mia madre era invecchiata di diecianni. Più il tempo passava, e meno se ne rendeva ragione:  

<< Gli davo i bocconi migliori… la maglia di lana… il giaccone di pelliccia… Perché proprio lui, Madonna del Carmine? Era tanto florido; ricordi?... I pomelli così rossi che faceva invidia a guardarlo… Glielo dicevo sempre: << La vera fortuna è la salute, Federico, e tu ne hai d’avanzo! >>.  

Senza pensare, sventurata, che proprio i pomelli rossi avrebbero dovuto insospettirla…  

<< Ècurabile, per fortuna; l’abbiamo preso in tempo >>, ci aveva rincuorati lo specialista. <<Però non sarà una degenza breve. Tutto dipende da come reagirà >>. 

 

 

Neanche a trovarlo, si poteva andare molto spesso: il viaggio costava, anche se non era eccessivamente lungo. In un anno io c’ero stato tre volte, col treno. Mamma di più, così pagava un biglietto soltanto. Oppure approfittava del camioncino di nostri conoscenti, che si recavano nei paraggi per affari. 

<<Indovina la novità!>>, le diceva la Rosa. 

<<Si va a Sondalo?... Oh, Signore! Allora occorre avvertire i padroni…>>. 

I “padroni”, come li chiamava, erano la famiglia presso la quale si recava a servizio. Se lui l’avesse saputo, ne avrebbe fatto una tragedia; sicché s’era ben guardata dal fargliene parola. Caro papà! sognatore qual era, di tutto si preoccupava nella sua lontananza, meno che delle questioni materiali.  

<<La Mutua è una gran cosa…>>, ci aveva consolati, <<e con i proventi del campicello…>>. 

Io, a sei anni, già sapevo come il “campicello” costituisse più un debito che un profitto. Avevo rotto perfino il mio salvadanaio, una volta, per asciugare le lacrime della mamma. La tempesta aveva guastato tutto, ma era occorsa una sera, che lui era praticamente in “trance”, al cospetto di una sua “natura morta”, che definiva “parlante”. 

<<E’ piovuto?...>>, s’era stupito, rimirando l’allagato terrazzo. 

<<Mamma è salita in soffitta per arginare l’acqua che penetrava in casa, ma bisogna impedire che la cosa ad ogni occasione si ripeta!>>. 

<<Impedire. Impedire, certo…>>, ma non era su questa terra. Seguiva con gli occhi la moglie che si affannava con stracci e secchi, come fosse trasparente. <<Perdirindindina!>>, era sbottato ad un tratto: <<Perché non ci ho pensato?... Più contrasto, ci vuole! Più contrasto!>>. 

<<Perdirindindina!>>, starnazzava in simili frangenti la gazza. <<Dina! Dina! Dina!>>. E siccome la “Dina” era una modella, della quale la mamma, da ragazza, era stata gelosa, lui mi strizzava l’occhio, ammiccante. 

 

(continua) 


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