2021-05-12

Monti Sorgenti: alla Torre Vescontea va in scena “Raccontare le vie”





di Gianfranco Colombo - Con la mostra “Raccontare le vie”, che si tiene alla Torre Viscontea, è iniziata la decima edizione della rassegna “Monti Sorgenti”. L’evento dedicato alla montagna darà il giusto rilievo ai sessant’anni della conquista del McKinley da parte dei Ragni di Lecco guidati da Riccardo Cassin.
La spedizione che sfidò e vinse la montagna più alta e più impervia del Nord America, era composta da Riccardo Cassin, Luigino Airoldi, Gigi Alippi, Romano Perego, Annibale Zucchi e Giancarlo (Jack) Canali. Partirono il 5 giugno 1961 da Milano ed il 14 luglio, dopo avere organizzato il campo base, iniziarono la scalata. C'era da superare la parete Sud di 3 mila metri di altezza, una via ritenuta “impossibile” e proprio per questo mai affrontata. Del resto, il nome con cui gli americani chiamano quella montagna, ovvero “figlia del diavolo”, diceva tutto. I sei lecchesi dovettero aspettare alcuni giorni per il maltempo, ma, poi, il 19 luglio, approfittarono di una schiarita ed arrivarono tutti e sei in cima alle 23, con un temperatura di 45 gradi sotto zero. 

A causa delle basse temperature dovettero scendere immediatamente. Arrivarono al campo 3 la mattina alle sei, ma a causa delle avverse condizioni meteo furono costretti ad attendere il pomeriggio del 21 luglio per riprendere la discesa. Jack Canali aveva un principio di congelamento ai piedi ed allora Gigi Alippi gli cedette le sue scarpe di renna e scese solo con i calzettoni e delle ghette speciali. Di questo episodio parla spesso Luigino Airoldi, uno dei protagonisti:Quando vidi la montagna per la prima volta volevo scappare. Alla fine la scalammo, ma oltre alla salita fu molto difficile anche la discesa, durata tre giorni. A causa del freddo incredibile fummo costretti a scendere subito ed al mattino, arrivati al campo tre, scoprimmo che Jack Canali aveva sintomi di congelamento ai piedi. Così Gigi Alippi gli diede le sue scarpe di renna e lui scese praticamente solo con dei calzettoni messi uno sopra l'altro. Io e Gigi Alippi chiudevamo il gruppo in quella discesa complicata». Ad attenderli al loro arrivo c’era un telegramma di congratulazioni del presidente Usa J.F. Kennedy. I sei lecchesi, in quel 19 luglio 1961, non avevano vinto solo il McKinley, una montagna nel mezzo dell'Alaska, avevano saputo conquistarsi l'ammirazione di tutta l'America. Il settimanale LIFE dedicò all’impresa dieci pagine ed un titolo significativo: “Italian climbers in Alaska conquer the Devil's Creation”. Riccardo Cassin nel suo libro “Capocordata” (Vivalda editore), dedica pagine intense a quella scalata. Di grande suggestione il brano che descrive l’arrivo dei sei alpinisti sulla cima in condizioni metereologiche proibitive: «Alle ventitré del 19 luglio siamo tutti in vetta al McKinley. E’ quasi buio ed è pericoloso stare senza guanti, ma ugualmente scatto due foto, certo che non riusciranno. Invece almeno una conserverà il ricordo della cima raggiunta. Leghiamo a un chiodo da ghiaccio le bandierine 

 che sbatacchiano al vento, il quale confonde e unisce i colori dell’Italia, degli Stati Uniti, dell’Alaska, di Lecco, del nostro Gruppo Ragni: è quasi un invito alla fratellanza dei popoli. Ci abbracciamo commossi e riusciamo quasi a stento a pronunciare qualche parola: le sensazioni che si assommano sono troppo intense e sui volti appare quel sorriso particolare e radioso che viene dal cuore. La nostra è una bella vittoria dell’alpinismo italiano e lecchese. I ragazzi mi hanno voluto fare una sorpresa e lasciano qui, sul McKinley, anche una statuetta di San Nicolò, patrono della nostra città». In occasione dei cinquant’anni di questa impresa, venne presentata una nuova edizione del volume di Riccardo Cassin, 

“La Sud del McKinley” voluta dalla Fondazione Riccardo Cassin e dalla casa editrice Alpine Studio. In quell’occasione il giornalista della Gazzetta dello Sport, Daniele Redaelli, ricordò come questa grande impresa non sia mai stata troppo considerata a causa di almeno due fattori: «Innanzitutto andò tutto bene, non ci furono disgrazie né polemiche; in secondo luogo i protagonisti pensavano di avere semplicemente scalato una montagna difficile, non si sentivano degli eroi. Invece, fu una grande dimostrazione di abilità e resistenza, avvalorata dallo spirito di grande amicizia che univa i sei alpinisti. Un legame profondo che li vide arrivare tutti e sei in cima. Eppure fu una salita terribile, caratterizzata da un tempo pessimo e da temperature che oscillavano tra i 42 ed i 50 sotto zero».

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