2021-01-21

76° anniversario della fucilazione di sei partigiani a Fiumelatte



Di Gianfranco Colombo - I giorni scorsi è stato ricordato il 76° anniversario della fucilazione fascista dei partigiani di Rancio e del lago a Fiumelatte, avvenuta l’8 gennaio 1945. Come tutti gli anni una cerimonia solenne ha reso omaggio a sei giovani vite spezzate da una violenza ingiustificata. In Valsassina e Valvarrone nel dicembre 1944, alcuni partigiani della 55^ Brigata F.lli Rosselli si arresero alle forze fasciste per mancanza di viveri e furono internati nelle carceri di Bellano. Secondo gli accordi presi con il questore di Como, dovevano essere inviati in Germania come lavoratori coatti. Durante il trasferimento da Bellano a Como, in località “Montagnetta” a Fiumelatte, i fascisti delle brigate nere, simularono un attacco della Resistenza, fecero scendere i sei partigiani dal camion e li fucilarono sul posto. Persero la vita: Carlo Bonacina di Rancio (24 anni), Ambrogio Inverni (Lupo) di Bellano (31 anni), Giuseppe Maggi (Beppe) di Rancio (21 anni), Virgilio Panzeri (Ciccio) di Rancio (21 anni), Domenico Pasut (Leone) di Mandello del Lario (23 anni), Carlo Rusconi (Boia) di Vendrogno (25 anni). Fu un fatto di sangue gravissimo e alcuni dei responsabili, a guerra finita, furono arrestati e condannati. Quanto accaduto a Fiumelatte inquadra perfettamente il clima feroce che si respirava in quel periodo, in cui la Resistenza si andava organizzando e la risposta dei nazifascisti era durissima. Al tragico episodio di Fiumelatte si arriva dopo l’attacco da parte partigiana alla caserma di Piazzo in Valsassina, il 13 settembre 1944. Fu un “assalto” riuscito e le forze della Resistenza si impadronirono della caserma ma soprattutto delle armi.


 E’ questo attacco partigiano che fa scattare il rastrellamento da parte dei nazi fascisti. «La Val Gerola e le valli bergamasche sono bloccate – scrive Silvio Puccio nel volume “Una Resistenza” – Colico è occupato da 450 fascisti, Introbio da 350. A Dervio prende sede una compagnia del centro addestramento al comando del capitano Camerano. Gli allievi ufficiali delle scuole di Bellano, circa 450 uomini, rioccupano la caserma di Piazzo, stabilendo presidi anche a Pagnona e Premana». Il 4 ottobre le operazioni di rastrellamento hanno inizio e proseguono quasi tutto il mese; al termine il colpo inferto ai partigiani è durissimo: «Ogni baita e ogni ricovero al di sopra dei mille metri sono stati distrutti. – scrive ancora Silvio Puccio – La vita dei partigiani che fossero rimasti non sarebbe stata facile nell’inverno che si annuncia con qualche nevicata. Centotrenta morti e oltre cinquecento deportati sono il risultato del rastrellamento d’ottobre nella Valsassina, con circa settecento, fra baite, case e rifugi, distrutti». Ma le operazioni nazifasciste non si fermano qui e proseguono verso la Valtellina, il progetto è quello di tenere sgombra tutta la zona nel caso di un ripiegamento verso la Svizzera. Le azioni sono numerose e per i partigiani la situazione è disperata, mancano viveri, munizioni e persino le scarpe. L’ordine dal comando partigiano è quello di resistere per preparare la ricostituzione dei quadri della brigata Rosselli. Un gruppo guidato dal partigiano Mina si sposta in zona Pianca, sotto la Culmine di San Pietro: «E’ qui che in seguito a una delazione tutto il distaccamento viene sorpreso alla fine di dicembre dagli uomini delle brigate nere di Como. I fascisti intervengono con armi pesanti, hanno bloccato il sentiero obbligato che porta al nascondiglio dei trentasei uomini. Non c’è nessuna possibilità di resistenza e per non provocare inutili morti il comando partigiano ordina la resa. Le brigate nere sono comandate da Noseda, la sua ferocia ha già una fama in tutta la provincia. L’ultimo giorno dell’anno, all’alba, si decide che diciotto partigiani di quelli presi al baitone saranno fucilati. Un gruppo viene portato subito a ridosso della cinta del cimitero di Introbio, gli altri cadono il giorno dopo a Moggio. Mina non muore sotto il plotone di esecuzione. Mentre lo caricano sul camion ha tentato di scappare e una raffica lo ha steso sulla strada». E arriviamo ai primi giorni del mese di gennaio 1945. I partigiani scampati ai rastrellamenti, che si trovavano sopra Bellano, essendo braccati da tutte le parti, decisero di consegnarsi, speravano che i fascisti mantenessero l’impegno di non ucciderli e di mandarli in un campo di concentramento. Come abbiamo scritto all’inizio questo non accadde e con l’inganno vennero tutti fucilati a Fiumelatte. «Al processo che si terrà a Lecco nel luglio successivo, due padri rievocheranno lo stato in cui furono trovate le salme dei sei partigiani: orribilmente seviziate, coi crani fracassati e gli occhi cavati, per rendere irriconoscibili i corpi».

 

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