di Renato Frigerio Ricorre quest’anno il 74° anniversario della morte di Giusto Gervasutti e nel rievocarne la figura di alpinista forte, leale e generoso, proviamo un senso di rimpianto per quest’uomo che, con leggendarie imprese, ha legato il suo nome ai maggiori successi alpinistici degli anni trenta.
Giusto Gervasutti era nato a Cervignano del Friuli il 17 aprile 1909 e l’ambiente montano dell’alta Carnia, ove ogni anno si recava a trascorrere le vacanze, ha contribuito a sollecitare in lui la passione per la montagna.
“Molte volte mi sono chiesto come sia nata la mia passione per le grandi montagne, ma è un po’ come se cercassi di ricordare quando ho imparato a nuotare. Mi sembra di esserne sempre stato capace. Quando un individuo inizia una qualunque attività, esiste quasi sempre un fatto determinato, casuale o voluto, che ve lo spinge. Nel mio caso particolare, invece, non sono mai riuscito a localizzare l’inizio di questa mia passione, che dovrà avere un’importanza non lieve su tutta la mia vita”.
Queste sue parole con le quali inizia la narrazione delle sue “Scalate nelle Alpi” (S.E.I. Torino, novembre 1966), sembrano non svelarci niente, ma è indubbio che in un animo sensibile come quello di Giusto, l’ambiente alpino dell’alta Carnia, con le sue cime, le sue forre, i suoi torrenti, abbia esercitato un fascino tale da conquistarlo alla montagna.
Nel corso di queste vacanze trascorreva lunghe ore a fissare le cime dei monti e un desiderio forte di salirle si impossessava di lui. Ma come fare? La volontà non bastava, occorrevano esperienza e tecnica. E questi requisiti, a quei tempi, Giusto non li possedeva ancora. Una sera d’inverno, nel mettersi alla ricerca di libri che gli parlassero di quei luoghi, gli capitarono tra le mani, prestategli da Severino Casara (il noto compagno di scalata di Emilio Comici), le bozze della Guida delle Dolomiti Orientali del Berti.
“E io devo onestamente riconoscere che furono proprio le difficoltà graduate e classificate di quel libro, non disgiunte, cosa rara in una guida, da un certo senso di mistero e poesia, a permettermi il primo indirizzo nella mia attività alpinistica e darmi la spinta più forte per affrontare le formidabili incognite che le difficoltà dolomitiche opponevano alla mia inesperienza”.
Alto, con un fisico atletico e solido, Giusto si era dedicato anche ad altri sport, quali la scherma, il nuoto, l’atletica e lo sci. Fu appunto durante una gara sci-alpinistica, il famoso trofeo Mezzalama, che un giornalista torinese, nel fare il resoconto della competizione, esaltando le doti atletiche e di resistenza di Gervasutti, gli attribuì l’appellativo di “Fortissimo”. L’aggettivo piacque tanto agli amici, che in seguito lo avrebbero sempre chiamato così, con l’aggiunta di quel “il” che doveva distinguerlo come unico fortissimo.
Dopo le prime esperienze sull’Antelao (Giusto contava allora 16 anni), sulla Ovest e la Piccola di Lavaredo, nonché sul Campanile di Val Montanaia, nelle Dolomiti, dove rivela le sue magnifiche doti arrampicatorie, Gervasutti attacca, ai confini della Carnia, la parete Nord del Monte Siera: 700 metri di roccia che “avevamo ammirato nelle nostre passeggiate e sapevamo che era stata tentata infruttuosamente da Guide e alpinisti locali”. In otto ore, Giusto e i suoi compagni, Bruno Boiti e Giannino Agnoli, sono in vetta, dove ad accoglierli vi è una vecchia Guida di Sappada, commossa per il felice esito della scalata.
Dalla roccia al ghiaccio il passo non è lungo. Con l’ing. Stegagno si porta negli Alti Tauri ed effettua diverse salite, gettando idealmente un ponte di collegamento con le Alpi Occidentali, quelle Alpi che negli anni futuri lo vedranno protagonista e sulle quali introdurrà tecnica e mentalità che si è soliti usare in Dolomiti, portando i sistemi di scalata a concezioni più ardite: il sesto grado.
Ed è all’impulso che egli ha dato all’alpinismo occidentale, se nel volgere di una quindicina d’anni i giudizi su certi itinerari di salita vengono riveduti e gli alpinisti muovono all’attacco di vie che erano ritenute inaccessibili.
Nel 1931, per ragioni di studio, si stabilisce a Torino e, dopo gli allenamenti domenicali nella valli di Lanzo e sulle Prealpi, inizia una lunga serie di scalate che lo vedranno passare vittorioso dall’Aiguille Verte al Grèpon, dal Cervino al Rosa, dal Bianco al Delfinato. Suoi compagni di scalata, tanto per citare qualche nome, furono Emilio Lupotto, Paolo Ceresa, Emanuele Andreis, Gabriele Boccalatte, Piero Zanetti, Renato Chabod, Lucien Devies e Giuseppe Gagliardone.
Ma ogni anno torna alle sue Dolomiti e, sul Campanile Toro, Cima Both, Torre Venezia, Spigolo del Velo, Sass Maòr, Campanile Basso, Civetta, coglie le sue vittorie più significative, legato ora a Bruno Boiti, ora a Gianni Colonnetti o Pasquale Palazzo o Amedeo Sarfatti, nonché gli stessi Boccalatte, Devies, Zanetti.
Per parlare delle sue scalate non basterebbero certamente tutte lo spazio di questa nostra edizione, tante ne ha compiute. Per mettere in evidenza le sue doti fisiche e spirituali, credo basti fare un accenno a due sole salite: la Nordovest dell’Ailefroide (3954m) con il francese Devies, nel Delfinato e la solitaria invernale al Cervino per la cresta del Leone.
Nella scalata all’Ailefroide, Gervasutti, ha dimostrato di possedere una forza di volontà non comune e una resistenza fisica che si riscontra in pochissimi individui.
Mentre con il francese Devies si porta all’attacco della parete, nell’attraversare un pendio detritico, Giusto s’appoggia ad un grosso masso, che per l’instabilità del terreno comincia a rotolare. Per evitarlo, Gervasutti si getta istintivamente di lato ponendo un piede in fallo e cadendo pesantemente al suolo, col risultato di trovarsi con due ferite al labbro inferiore, tre denti che si muovono e, come riscontrerà successivamente il dottor Marcel Couturier di Grenoble, due costole fratturate.
Quanti alpinisti avrebbero rinunciato in quelle condizioni! Ma Giusto, che dell’alpinismo ne fa una seconda forma di vita, non molla e decide di continuare perché, se desistesse, sente che gli sfuggirebbe la possibilità di risolvere il problema della Nordovest.
E rivolgendosi a Devies: “Devo avere una costola rotta. Qualunque cosa faccia, resterò fuori combattimento per molti giorni; ma non subito. Oggi dovrei riuscire a tenere; dovrò solo resistere al dolore. Ma bisogna continuare, capisci, perché riesca a fare almeno una salita”.
E intraprendono la scalata della vertiginosa parete che raggruppa le caratteristiche della Nord delle Grandes Jorasses e della Civetta insieme. Per 58 ore saranno impegnati fino allo spasimo, ma riusciranno vittoriosi sulla cima.
Ridiscesi a valle e rientrati alle rispettive sedi, Gervasutti, a seguito delle ferite riportate, deve restare in forzata immobilità per due mesi. Ma nella sua mente già si affollano progetti per future e impegnative scalate. Ristabilitosi completamente, la mattina del 20 dicembre 1938, sale al Breuil con gli amici Ceresa, Fiorio e Poma, per una ascensione sci-alpinistica al Breithorn. Mentre salivano sul ghiacciaio, il suo sguardo si posava spesso sul Cervino (che Giusto aveva già salito dal versante svizzero) e in lui matura il proposito di salirlo da solo, per la cresta Sudovest.
In serata rientrano a Torino e il desiderio di questa nuova avventura si fa più prepotente, tanto è vero che comincia subito a preparare lo zaino. Il 23 dicembre, alle 8.15’, con Marco Pession, che funge da portatore, salgono in funivia al Plan Maison (2557m). Alle 10.20’ sono alla Croce Carrel. Pession lo accompagna ancora per mezz’ora, poi Giusto, caricatosi lo zaino sulle spalle, prosegue da solo.
Sale al Colle del Leone (3580m) e ogni tanto, nel voltarsi a valle, vede Pession scendere veloce sugli sci. Alle 13.34’ è sul Colle, ove si ferma per mangiare un boccone e in altre due ore circa, compresa la sosta, raggiunge il rifugio Luigi Amedeo di Savoia (3835m). Alle 8.30’ del 24, lascia il rifugio (all’interno della capanna il termometro misurava 9 gradi sotto zero) e continua la sua scalata che si conclude con l’arrivo in vetta alle 14.10’. In quattro ore ridiscende al Luigi Amedeo e, per festeggiare la notte di Natale, consuma alcune prugne secche con acqua calda. Intanto, fuori, comincia a nevicare e per tutta la notte infuria la tormenta. Ma Giusto è ugualmente felice perché gli “pare di essere in un mondo di sogno e di vivere una favola per piccini”.
Negli anni che seguono continua a cogliere magnifiche vittorie, correndo da un capo all’altro delle Alpi, fino a quando la morte, una morte immatura, lo sorprende a soli 37 anni.
Con Giuseppe Gagliardone, il 16 settembre 1946, si porta all’attacco del Mont Blanc du Tacul (4248m). Il loro progetto prevede la scalata del pilone centrale della Est (oggi “Pilier Gervasutti”). Lo attaccano, compiono diverse lunghezze di corda, ma il tempo che si è fatto minaccioso, e le condizioni della montagna consigliano di ritornare. I due alpinisti si consultano e decidono di iniziare la discesa con una serie di corde doppie.
“Perdiamo molto tempo nel tentativo di liberarle, ma non vi riusciamo: così a malincuore decidiamo di risalire. Lasciati gli zaini sul terrazzino, ci leghiamo nuovamente, Gervasutti al capo della grande, io al capo della piccola. Arrivato a metà delle placche che ci dividono dall’uscita dello strapiombo, Giusto pianta un chiodo e mi fa salire fin là per assicurarlo. Intanto ho ricuperato abbastanza corda da permettergli di uscire… Arrivato sopra lo strapiombo, mi dice la ragione per cui le corde non scorrevano: il nodo s’era incastrato in una fessura. Allora ritorno al pianerottolo, mentre lui dall’alto mi grida di slegarmi in fretta e di tirar fuori tutti i chiodi che ho nello zaino per fare una serie di corde doppie in maniera di accelerare la discesa, ed evitare il bivacco. Mentre così chinato sullo zaino sto mettendo fuori i chiodi, sento un tonfo ed una esclamazione. Mi raddrizzo e vedo solo più lui, precipitare sulle placche inclinate alla mia sinistra, distanti tre o quattro metri. La corda piccola fila ancora dall’alto nell’anello, ed è istintivo il gesto che faccio per afferrarla, cosa umanamente impossibile.
Sono forse le 17 o le 17 e 30’! Non mi è dato purtroppo con certezza precisare le cause dell’incidente. Posso soltanto pensare che Giusto sia scivolato nel momento in cui stava cercando di togliere il moschettone dal chiodo d’uscita dello strapiombo e tentando di agguantare le corde sia solo riuscito ad afferrarne una, sfilandole così col suo peso dall’anello. Oppure, altra supposizione, che egli sia scivolato mettendosi in corda doppia”.
(G. Gagliardone: L’ultima salita di Giusto Gervasutti, “Corriere delle Alpi”, 16/1/1947).
Così è caduto Giusto Gervasutti. “il Fortissimo”.
Le sue eccellenti qualità di arrampicatore nato, non disgiunte da quelle sue doti interiori, hanno fatto di lui un grande scalatore, certamente uno dei più completi che siano esistiti.
(NdR = Il pilastro Gervasutti (TD/800m/6a) al Mont Blanc du Tacul è una delle grandi vie classiche del Monte Bianco. È stato salito in prima ascensione il 29 e 30 agosto 1951 da Piero Fornelli e G. Mauro.
La ripetizione solitaria del pilastro Gervasutti è opera del torinese Gian Piero Motti,
nel 1969. Tra l’altro lo stesso Motti ha scritto la “Storia dell’Alpinismo”, pubblicata da
De Agostini nel 1977). ).
Box
GIUSTO Gervasutti (1909-1946)
L’eccellente alpinista Giusto Gervasutti riuscì forse a contenere e superare le divergenze esistenti tra la tradizione classica delle Alpi Occidentali e i più moderni orientamenti caratteristici delle Alpi Orientali.
Nei primi anni del 1930 effettuò ripetizioni fra le più difficili vie delle Dolomiti. Trasferì poi le tecniche dolomitiche nelle Alpi Occidentali, dove effettuò molte importanti ripetizioni sulle più dure vie di misto, come l’invernale alla Cresta di Furggen sul Cervino, e di roccia, come la prima ripetizione della Cresta Sud dell’Aiguille Noire de Peutèrey al Bianco.
Gli alpinisti di tutta Europa riconobbero il valore e la purezza di stile di Gervasutti, il quale ebbe modo di affermare che la sua visione moderna si ispirava alla concezione di Albert Frederick Mummery, lo scalatore inglese più importante della seconda metà del Novecento, che all’epoca ebbe la sua profonda influenza sullo svilupp
Nessun commento:
Posta un commento