2020-10-26

EMILIO COMICI: UN GRANDE ARTISTA DELL’ARRAMPICATA


di Renato Frigerio - La storia dell’alpinismo l’hanno scritta uomini appassionati e coraggiosi a cominciare da Michel-Gabriel Paccard, figlio minore di un notaio di Chamonix, che l’8 agosto 1786 con Jacques Balmat calcò per primo i 4810 m del Monte Bianco. Poi è stato tutto un susseguirsi di nomi celebri di alpinisti che con le loro imprese hanno legato il proprio nome alle maggiori cime delle Alpi. E fra questi nomi non si può certo ignorare quello di Emilio Comici che, almeno per un decennio (dall’inizio degli anni ’30 fino alla sua scomparsa), è stato il più forte e valido arrampicatore fra gli alpinisti italiani arrivando a superare, nelle sue scalate su roccia, difficoltà di sesto grado. È vero che questo limite era già stato toccato in  Italia il 7 agosto 1925 dai due monachesi Emil Solleder e Gustav Lettenbauer allorchè, in prima ascensione, raggiunsero, la cima del Monte Civetta, per la parete Nordovest, ma è altrettanto vero che le vie percorse da Comici, al confronto, risultano molto più impegnative per le difficoltà estreme che si susseguono. È pertanto un vero piacere rievocare le imprese di quest’uomo, tra i principali esponenti dell’arrampicata dolomitica fra le due guerre, protagonista della ‘battaglia del sesto grado’, che la montagna l’ha vissuta totalmente, tracciando circa 200 nuove vie sulle Alpi orientali, alcune delle quali portarono l’arrampicata italiana al livello della scuola austro-tedesca, che sembrava dominare il campo nelle Dolomiti. Comici perfezionò l’uso della doppia corda nell’arrampicata artificiale e introdusse l’uso di staffe di cordino per superare strapiombi. Fu un sostenitore della “direttissima”:  – “Vorrei tracciare una via che corrisponda a quella che percorrerebbe una goccia d’acqua lasciata cadere dalla cima”. 

Triestino di nascita, è nato infatti nella città giuliana il 21 febbraio 1901, dopo aver compiuto gli studi presso le scuole medie si occupò ai Magazzini Generali, un’azienda del porto. Iniziò a frequentare la vicinissima Val Rosandra, una vallata a pochi chilometri da Trieste che s’inoltra nell’altopiano del Carso, ma il primo vero approccio con la montagna lo ha avuto durante un’esplorazione ad alcune grotte del Cansiglio. Risalito dall’abisso si sentì attratto verso l’alto ed allora salì immediatamente sulla cima del Monte Cavallo. Questa salita lo spinse definitivamente a praticare la montagna. Quale speleologo deteneva il record mondiale di profondità dei suoi giorni. Comici rimase ai Magazzini Generali fino al 1932, anno in cui lasciò Trieste per Misurina avendo nel frattempo conseguito il brevetto di guida alpina ed il diploma di maestro di sci. Si trasferì poi a Selva Val Gardena, dove agli inizi dell’anno 1940 fu nominato Podestà. E nell’esercitare questa carica si è sempre occupato del benessere dei suoi amministrati dai quali era stimato e benvoluto. 

Parlare delle sue scalate non è difficile: l’imbarazzo sorge quando devi scegliere di quali parlare dato che di imprese ne ha compite tantissime e tutte di prim’ordine. Fra le principali di Comici vanno ricordate: 1929, Sorella di Mezzo, Sorapiss, la prima via di sesto grado aperta da italiani; 1931, via nuova alla parete Nordovest della Civetta; 1933, parete Nord della Cima Grande di Lavaredo, una delle classiche pareti Nord delle Alpi considerata, in quel periodo, una grande svolta, per l’uso metodico della tecnica artificiale; 1933, Spigolo Giallo alla Cima Piccola di Lavaredo; 1937, solitaria alla Nord della Cima Grande di Lavaredo. Mi soffermo allora su di un paio di queste salite: credo possano bastare per dare un’idea del coraggio e della bravura di questo grandissimo alpinista. 

 

 

 

Monte Civetta, 3128 m, Dolomiti orientali, parete Nordovest, direttissima italiana. 

Il 4 agosto 1931 Emilio Comici e Giulio Benedetti lasciano il rifugio che l’alba non è ancora spuntata. Dopo un’ora di cammino si trovano alla base della parete e sono indecisi se percorrere la Solleder (non era ancora stata ripetuta) o tentare qualcosa di nuovo. 

“E se andassimo a cercare un elegante attacco alla nostra futura via?” – sbotta Comici improvvisamente. “È un’idea meravigliosa” – risponde prontamente Benedetti. E così i due si abbassano di una trentina di metri e attaccano a destra di una rientranza della parete. 

La muraglia sporge e sembra cadere addosso, i tetti si susseguono in serie interminabile mentre, verso il basso, la roccia sfugge. La salita si fa subito impegnativa e Comici, nella sua relazione, parla di difficoltà “veramente tremende” dato che il superamento di diedri e tetti strapiombanti li impegnano in uno sforzo muscolare notevole non disgiunto dalla tensione che si accumula in questi momenti davvero incredibili. Annota ancora Comici: -  

“Sorpassato anche il secondo tetto, il superamento di un diedro strapiombante, alto dodici metri, fu spasmodico: il più terribile passo di tutta la salita”. Alle otto di sera, superato un camino, si preparano per il bivacco sfruttando un piccolissimo antro che può ripararli in caso di pioggia, ma è bagnato. Trascorsa la notte si rizzano in piedi mentre sono presi da convulsioni di freddo. Ripartire in simili condizioni è impossibile. Ed è proprio in questi momenti che i pensieri si affollano nella mente e lo scoramento ti prende. E se più in alto non fosse possibile proseguire? Ridiscendere, a questo punto, nemmeno pensarci: troppi tetti e strapiombi sbarrano la via per un ritorno. Cosicchè frizionate le membra intirizzite ed inghiottito un boccone riprendono la scalata. Superano ancora qualche strapiombo e, affacciati nel vuoto, devono affidarsi a chiodi, moschettoni e a manovre di doppia corda per continuare a salire con un margine di sicurezza maggiore. Si tratta di una nuova tecnica che Comici adotta per la prima volta proprio nel corso di questa scalata. “Dopo aver superato un camino di 40 metri, bagnato, – scrive Comici nel suo diario – finalmente la montagna si placa. Non ci opprime più, non ci schiaccia più con i suoi incessanti strapiombi. Ora possiamo guardare in alto senza torcerci il collo… Abbiamo vinto”. 

Pensate: hanno superato una parete alta 1100 metri con difficoltà sostenute di sesto grado dall’inizio alla fine. Quattro anni dopo le cordate dei lecchesi Cassin e “Boga” Dell’Oro e di Kasparek e Brunhuber nel ripetere questa via dovranno impegnarsi a fondo e alla fine concordano col giudizio espresso da Comici: limite superiore del sesto grado. 

E vediamo anche la seconda scalata. Cima Grande di Lavaredo, 2999 m, parete Nord. 

Questa via, già percorsa da Comici, in prima ascensione, con i fratelli Angelo e Giuseppe Dimai di Cortina nei giorni 13 e 14 agosto 1933, viene da lui ripetuta, in salita solitaria, il 2 settembre 1937. Nello stesso giorno scrive una lettera all’amico giornalista Vittorio Varale per metterlo al corrente di questo suo exploit. La riporto integralmente: “Oggi per ammazzare il tempo sono andato da solo sulla Nord della Grande. Ho attaccato alle 12, sono giunto in vetta alle 3,45’ pomeridiane. C’ho messo due ore e un quarto fino al punto del bivacco. Avevo una corda da 30 metri e un cordino da 20, caso mai avessi dovuto scendere, 10 moschettoni, dei 6 chiodi che avevo non ne ho adoperato neanche uno. Mi sono riposato un paio di volte sui chiodi già infissi, anche per individuare la via. Quando ho attaccato una cordata di tedeschi era in parete, stavano superando la placca nera prima di quella famosa traversata (se ben ricordi) dove Giuseppe passò in testa. Io li raggiunsi subito dopo la traversata, prima del nostro bivacco di quattro anni fa. Hanno fatto degli occhi grandi così vedendomi sotto di loro, mi hanno fotografato mentre li raggiungevo…”. 

Dunque Comici si porta all’attacco della parete con l’amico Gianfranco Pompei che qui si ferma a guardarlo. Ha con sé una corda (di cui si libererà presto), un cordino e un po’ di ferramenta. Attacca di slancio e arrampica veloce. In meno di quattro ore è in cima. Ma riprendiamo, per un attimo, il diario di Comici: - “Salito, una settimana più tardi, sulla Cima Grande per la via normale accompagnando due turisti, nello sfogliare il libro della vetta,

 

vidi le parole scritte da me: salito da solo, su per la parete Nord, impiegando tre ore e tre quarti cancellate con matita e, sotto queste strisce nere, aggiunto a lettere cubitali, “esagerato!” e poi un magnifico “BUM”. 

Alla morte di Comici i due tedeschi superati in parete, Huber Holler e Killian Weissensteiner, nel dare testimonianza di questa salita ebbero a scrivere: “…Gettò nel vuoto la sua corda, che piombò sulle sottostanti ghiaie e tenne soltanto un cordino. Scambiò alcune parole col suo camerata che lo seguiva con occhio dal basso e, accomiatatosi da noi, si riattaccò alla roccia e partì… Di questa sua salita da solo per la parete Nord, lessi qualche tempo dopo. E rivissi allora quell’avvenimento: il nostro incontro lassù. Mi pervase ancora un intimo, indicibile orgoglio per aver conosciuto in tal modo il più grande arrampicatore della sua Patria, là dove egli si dimostrò a noi camerata e maestro. Quella grande parete porta per sempre il suo nome. È sua!”. 

Emilio Comici passava per essere un chiodatore di pareti ma, d’altra parte, era inevitabile che lo facesse: o stare al passo coi tempi, cioè al pari dell’alpinismo che si stava evolvendo o rinunciare a qualsiasi salita. E per lui rinunciare era impossibile. 

“So bene – soleva dire – di essere uno di quelli che hanno corrotto l’alpinismo e questo mi addolora, ma le sensazioni che provo in parete o su creste verticali sono più forti di me”. 

Si potrebbe scrivere ancora tante cose su di lui come ad esempio che amava la musica e che al pianoforte interpretava Bach, Mozart e Chopin con successo, che ha arrampicato anche in Jugoslavia, Spagna, Egitto e Grecia, che era un eccellente conferenziere e che si era distinto, quale istruttore, alla Scuola Militare Alpina di Aosta. Ma lo spazio è tiranno: mi devo fermare. 

Emilio Comici è morto il 19 ottobre 1940 precipitando dalla parete Campaccia, all’imbocco della Vallelunga, appena fuori Selva Val Gardena. Era andato ad esercitarsi coi suoi amici proprio su quella paretina che lui stesso aveva scelto come palestra di roccia. 

 

 

 Box 

 

COMICI EMILIO

 

Guida alpina, accademico, maestro di sci, speleologo. Tracciò circa 200 vie nuove sulle Dolomiti. Leggendario arrampicatore, appare come un simbolo dell’alpinismo dolomitico italiano e occupa un posto di primaria importanza nell’evoluzione dell’alpinismo, in quanto esprime un concetto nuovo dell’arrampicata: è Comici a perfezionare l’impiego della corda doppia, ad introdurre le staffe di cordino per superare tetti e strapiombi, a perfezionare le tecniche di assicurazione e ad intuire l’importanza delle palestre di roccia. È promotore della prima scuola d’alpinismo in Italia, quella della “Val Rosandra”. 

Fu un sostenitore della “direttissima”: “Vorrei tracciare una via che corrisponda a quella che percorrerebbe una goccia d’acqua lasciata cadere dalla cima”. Poi i chiodi ad espansione hanno reso questo possibile, ma è poco probabile che la sua idea fosse questa: il suo ideale è stato usurpato dalla tecnologia. 

Ogni itinerario di Comici è un capolavoro di ricerca dell’eleganza e della logicità. Basti vedere la direttissima alla parete Nord della Civetta con Giulio Benedetti nel 1931, la parete Nord della Cima Grande di Lavaredo con i cortinesi Angelo e Giuseppe Dimai nel 1933, lo spigolo Giallo della Cima Piccola di Lavaredo con Mary Varale e Renato Zanutti nel 1933, il Salame nel gruppo del Sassolungo con Severino Casara nel 1940. Compie la seconda ascensione solitaria della parete Preuss del Campanile Basso di Brenta nel 1936 in venti minuti e la prima solitaria della parete Nord della Cima Grande di Lavaredo – via Comici-Dimai nel 1937 in poco più di tre ore. 

 

 

 

 

Nessun commento:

Posta un commento