2020-09-11

Da oggi il mondo culturale contemporaneo è più povero. Ha perso uno dei suoi giganti, uno dei suoi fari, uno dei suoi grandi saggi.


La Fondazione Filosofi lungo l’Oglio piange con somma costernazione la dipartita di Amos Luzzatto, autorevole membro della Giuria del Premio Internazionale di Filosofia/Filosofi lungo l’Oglio. Un libro per il presente, stringendosi ai suoi cari in questo momento di prova e di sofferenza.

 

Visibilmente commossa la Prof.ssa Francesca Nodari, direttore scientifico del Festival, che lo ricorda così: «Il dolore rende muti e le lacrime solcano inevitabilmente il volto di chi perde una figura molto cara. Ho avuto l’onore di conoscere a fondo Amos, di intervistarlo [cfr. A. Luzzatto, A proposito di laicità. Dal punto di vista ebraico, Effatà Editrice, Cantalupa (To) 2008], di trascorrere momenti indimenticabili fatti di insegnamenti continui e di irrinunciabili passeggiate peripatetiche, come Amos amava chiamarle. Egli è stato per me un Maestro, una guida, una persona tanta cara da poterla considerare un nonno.

 

Chi è Amos Luzzatto?

 

Ogni tentativo di restituirne un profilo esauriente sembra andare a vuoto. Suo nonno materno fu il grande Dante Lattes e suo trisavolo paterno l’esimio Samuel Davis Luzzatto (Shadal), Amos Luzzatto è stato per quasi cinquant’anni chirurgo in vari nosocomi italiani, libero docente, scienziato, ebraista, presidente emerito della UCEI, studioso poliglotta; conferenziere di caratura internazionale ma anche – come suggerì Giorgio Gomel – “l’ultimo uomo del Rinascimento” o, per dirla con il compianto Paolo De Benedetti, il “Maimonide d’Italia”. E ancora marito, padre e nonno premuroso e sollecito, innamorato della sua famiglia, della vita e sempre assetato di conoscenza.

 

Vorrei ricordarLo con le sue stesse parole, allorché alla mia domanda: “Lei come si definirebbe?”, così rispose: “Prima di tutto sono un dispersivo. Forse lo ero già di natura, ma certamente mi hanno influenzato alcuni dei miei maestri. Quando però dico «dispersivo» può essere letto anche in termini positivi. Significa, soprattutto, che la mente umana vuole rapportarsi alla realtà che ci circonda e scopre ben presto che non vi è un solo linguaggio per compiere questa operazione. Vi è il linguaggio della analisi e quello della sintesi, il linguaggio della razionalità e il linguaggio dell’emotività, il linguaggio del singolo individuo e il linguaggio della collettività.

 

Come se non bastasse, entra in gioco anche la storia: il linguaggio di quarant’anni fa non va bene per essere compreso ai nostri giorni.

Quando stavo per scegliere la Facoltà universitaria ero incerto, ma questo succede a molti. Io ero incerto, molto singolarmente, fra la Medicina che poi ho seguito e la Matematica. Ho persino fatto dei tentativi per conciliare tra di loro le due discipline, senza produrre nulla di rilevante, ma acquistando una biblioteca relativa a tale problematica che non credo possiedano molti.

Ma poi la mia curiosità mi ha sempre spinto a cercare di capire, a esplorare territori di non immediata comprensione e anche abbastanza distanti l’uno dall’altro, almeno stando alla percezione comune. Seguendo lo schema dei linguaggi che ho citato, mi sono occupato di Chirurgia, di Epidemiologia, di Lingue, di Cultura ebraica. Ho fatto esperienza di recitazione alla radio, ho provato a volare sui super-leggeri, ho partecipato a lavori di gruppo di un Gruppo teatrale, sono stato attivo politicamente, ho ricoperto la carica di Presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, ho insegnato all’Università, e infine, last but not least, ho costruito una famiglia con una moglie severa, ma deliziosa, ed io, figlio unico, ho avuto tre figli e cinque nipoti: considerando la successione aritmetica, dovrei avere, in futuro, sette pronipoti.

 

Che cosa non ho fatto?

 

Non canto perché mi dicono stonato, ma un amico musicologo ha stabilito che, invece, sono «musicalmente ineducato». Questo mi consola. Non so ballare, ma nessuno ha definito questa mia incapacità. Nessuno è stato capace di insegnarmi a nuotare, ma ragionandoci sopra, sono riuscito a stare a galla, fare alcune bracciate, fare il morto e anche divertirmi. Ho parecchi amici, giovani e maturi, uomini e donne. Tutti questi, probabilmente, vedono in me molto di più di quello che mi pare di poter dare. Il resto lo diranno gli altri”.

A noi il compito di onorarne la memoria, di “narrarne il nome”. Osiamo fare nostre le parole di un grande amico e altra figura eminente dell’ebraismo italiano, Paolo De Benedetti, che precisa: “vorrei definire la presenza di Amos con le parole che Emmanuel Levinas scrive a proposito della lettura ebraica della Scrittura: ‘Se un uomo non nasce, un senso non si rivela’. Amos è nato”».

Che il Suo ricordo sia di benedizione.

À-Dieu, Amos».

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