2020-08-21

LA PIÙ IMPONENTE E PERICOLOSA PARETE CALCAREA DELLE ALPI: LA NORD DELL’EIGER

di Renato Frigerio - Nell’Oberland bernese, magnifica regione montuosa della Svizzera, tra il lago di Ginevra e il lago di Lucerna, assai glacializzata (il ghiacciaio di Aletsch è il più grande delle Alpi), le vette che superano i 4000m sono nove: Finsteraarhorn, Aletschhorn, Jungfrau, Monch, Schreckhorn, Gross Fiescherhorn, Gross Grunhorn, Lauteraarhorn e Hinter Fiescherhorn. L’Eiger coi suoi 3970m di quota non può, pertanto, essere incluso in questo computo. 

È però una montagna molto ambita dagli alpinisti e in modo particolare dai grandi scalatori poiché, oltre a varie vie di salita, ostenta la poderosa parete Nord della quale ci occuperemo. Questa parete è considerata la più grande delle Alpi e su di essa si è cimentato il fior fiore dell’alpinismo europeo. 

Da Grindelwald (1038m), centro di villeggiatura ai piedi del gruppo della Jungfrau parte un trenino a cremagliera che, dopo aver toccato la località di Alpiglen, arriva alla Kleine-Scheidegg (2061m), ricca di alberghi situati in una zona più che tranquilla. Da qui, a piedi naturalmente, si va all’attacco della parete. 

Nel secolo scorso, verso la fine degli anni ’30 tutte le montagne più alte d’Europa erano state salite. Rimaneva ancora qualche problema da risolvere per quanto riguarda le pareti Nord che, come è noto, sono le più repulsive. Quella dell’Eiger, nonostante vari tentativi portati dai più grandi alpinisti dell’epoca, resisteva ancora. Ben otto alpinisti (1) erano caduti nei tentativi precedenti la conquista nel periodo che va dall’agosto 1935 al giugno 1938 e, fra questi, dobbiamo purtroppo includere anche i nomi dei nostri Mario Menti e Bortolo Sandri. A risolvere questo problema ci pensarono i tedeschi Anderl Heckmair e Ludwig Vorg, con gli austriaci Heinrich Harrer e Fritz Kasparek, che dal 20 al 24 luglio 1938 riuscirono a toccare la vetta, dopo quattro giorni di lotta serrata lungo questa sinistra parete che misura 1800m d’altezza con uno sviluppo di arrampicata di 2412m. Le due cordate partirono separate: la prima il 20 luglio, la seconda il giorno dopo. Harrer e Kasparek ritardati nella fase iniziale della scalata da persistenti scariche di sassi, furono raggiunti alle 11,30’ del 21 luglio dai due tedeschi coi quali formarono un’unica cordata. 

Si trovarono all’incirca a metà della parete ad una quota di 3200m. Alla fine della seconda giornata, dopo aver superato il terzo nevaio, arrivarono alla rampa da dove, percorrendo un tratto molto impegnativo, si perviene al ragno. Il giorno successivo furono sorpresi dall’immancabile tempesta e, una volta giunti sul ragno, scoprirono ben presto che durante il cattivo tempo da questo punto partono in continuazione scariche di sassi e slavine. 

In diverse circostanze, infatti, i quattro hanno rischiato più volte di essere travolti. 

La terza notte bivaccarono proprio nel margine più alto del ragno e il giorno dopo riuscirono ad aprirsi un varco sulle fessure terminali e toccare finalmente la vetta. Fu una grande impresa e la stampa le diede il giusto risalto. Chi scrive queste note ha letto diverse relazioni sulla scalata di questa parete e ritiene opportuno ragguagliare il lettore, in modo breve ed essenziale, sulle fasi principali dell’arrampicata che dalla base porta alla cima. Quasi ogni posizione della via aperta nel 1938 ha un nome che dà qualche indicazione sul percorso e sui problemi che comporta: la fessura difficile, la traversata Hinterstoisser, il nido della rondine, il primo nevaio, il colatoio ghiacciato, il secondo nevaio, il ferro da stiro, il bivacco della morte, il terzo nevaio, la rampa, lo strapiombo di ghiaccio, la cengia friabile, la traversata degli dei, il ragno e le fessure finali, 

Sormontato lo zoccolo iniziale, posto poco sopra i 2000m di quota, si devono superare difficoltà rocciose non rilevanti fino a raggiungere la fessura difficile, superata la quale si deve compiere la delicata ed insidiosa traversata Hinterstoisser (2) – 40 metri – per raggiungere il primo nevaio. Poco dopo si devono affrontare tratti di parete ghiacciata ma un lungo gradone di roccia, posto sulla sinistra, consente di progredire fino al secondo nevaio (3200m) di notevoli dimensioni. La salita si fa sempre più impegnativa e pericolosa in quanto si devono superare tratti come il ferro da stiro e il terzo nevaio (solitamente colpiti da slavine scaricate dal ragno) per giungere al bivacco della morte, così chiamato poiché in questo luogo i due tedeschi Karl Mehringer e Max Sedlmayer perirono per assideramento durante il primo tentativo di scalata, effettuato dal 21 al 25 agosto del 1935. 

Dal bivacco della morte, altri tratti piuttosto difficili si parano davanti allo scalatore. Sono, in ordine progressivo, la rampa (breve ma strapiombante), il budello di ghiaccio, la traversata degli dei e il ragno. Seguono altri delicati passaggi sulla mosca, sulle fessure terminali per finire sulla vetta. La discesa si svolge sul versante occidentale della montagna lungo il quale corre la via normale. 

 

Anche Walter Bonatti, ritenuto il più grande alpinista nel periodo 1955-1965, nei giorni 31 luglio e 1 agosto del 1963 volle cimentarsi con questa parete tentando di salirla in solitaria (quarto tentativo assoluto di alpinisti) dopo che una cordata di tre Scoiattoli di Cortina, formata da Albino Michielli (Strobel), Bruno Menardi (Gim) e Lorenzo Lorenzi (Dai Pale), alcuni giorni prima, aveva dovuto ripiegare per le avverse condizioni atmosferiche. 

Erano esattamente le 2,45’ del 20 luglio quando Bonatti iniziò il suo tentativo solitario, ma dopo aver bivaccato sul secondo nevaio in condizioni penose (non aveva chiuso occhio durante la notte) ed essere stato colpito da una caduta di pietre che gli avevano procurato la lesione di una costola, stante anche il maltempo, decise di abbandonare l’impresa. 

Ma ecco, dopo pochi giorni, presentarsi al cospetto dell’Eiger Michel Darbellay (3), guida alpina di Orsières, poco sopra Martigny, nella Val Ferret elvetica. Atletico, slanciato, alto un metro e ottantuno, aveva tentato già due volte la parete, prima con il fratello Daniel e poi nel luglio del 1962 assieme ai connazionali, la guida alpina Michel Vaucher, e le prime due donne che tentano seriamente la ripetizione, Loulou Boulaz e Yvette Attingher, ma, all’altezza della rampa, furono costretti a fermarsi e a bivaccare: continuare sarebbe stato troppo pericoloso visto che la tempesta di neve continuava ad imperversare. Il mattino seguente i quattro, sempre immersi in un’atmosfera invernale, con gli abiti rigidi come corazze medievali decisero di calarsi fino alla base, dopo 3 bivacchi “Com’è andata? – chiesero alcuni amici corsi loro incontro – “Siamo saliti fino a quando il maltempo ci ha costretto a ritirarci” – rispose Yvette – “È stata una grande avventura”. 

Ci riuscirà la scalatrice olandese Daisy Voogs a raggiungere la notorietà, quando all’inizio di settembre del 1964 è stata la prima donna a scalare l’Eigerwand. Ascensione portata a termine dopo 3 bivacchi, con il tedesco Werner Bittner, in prima cordata mista e 50° ascensione. 

Ma torniamo a Darbellay che per questo tentativo solitario si era preparato a dovere. 

2 agosto 1963: alle ore 3,00’ del mattino attacca e supera lo zoccolo arrivando alla fessura difficile alle 4,30’. Traversata Hinterstoisser alle 5,00’ per continuare fino al secondo nevaio alle 6,30’. Ore 8,30’: raggiunge il bivacco della morte e dopo mezz’ora è sulla rampa. Dopo essersi riposato riprende la scalata e alle 15,30’ è sul ragno. Superando la traversata degli dei e proseguendo attraverso la variante Terray-Lachenal e trovando la possibilità di bivaccare, lo fa lungo la parte alta delle fessure terminali, a 40 metri dal nevaio, dopo aver superato la mosca. Il giorno seguente dopo un discreto bivacco, riprende la scalata alle ore 6,00’ e arriva in cima alle 8,07’. Grande impresa! (4) Da solo in 18 ore effettive di arrampicata ha vinto la terribile parete. 

La prima assoluta in invernale (18° ascensione) è stata realizzata nel 1961 dai tedeschi Toni Kinshofer, Anderl Mannhardt, Toni Hiebelr e dall’austriaco Walter Almberger, dal 6 al 12 marzo, con 6 notti trascorse in parete a temperature molto basse. 

Protagonisti di un’altra eccezionale impresa invernale sono stati alcuni giovani alpinisti provenienti dagli U.S.A., dall’Inghilterra e dalla Germania, una cordata internazionale (5), che in 31 giorni (26 in parete) hanno tracciato una direttissima ricorrendo allo stile himalayano. Adottare questo stile di salita significa che gli alpinisti, chi più e chi meno, a seconda di un piano prestabilito, si adoperano per attrezzare la parete (talvolta scendendo per recuperare le energie) per permettere poi alla cordata di punta di salire in vetta. 

Dopo venti giorni di fatiche e di andirivieni, la cordata di punta era già molto in alto; ma il 22 marzo 1966, ormai in vista del balzo finale, mentre l’americano John Harlin stava risalendo un tratto di corda fissa proveniente dall’alto, per raggiungere il ragno, questa si ruppe (per il troppo carico? - per l’usura?) facendolo precipitare nel baratro sottostante. 

Harlin aveva già scalato questa parete dal 19 al 22 agosto 1962 (28° ascensione) con il tedesco Konrad Kirck e negli anni seguenti aveva operato diversi tentativi, poiché la sua mente pensava già alla “direttissima”. 

I suoi compagni, arrivati in vetta due giorni dopo la sua morte, considerato che aveva lottato con forza di volontà e un’energia senza pari per il conseguimento del successo finale, decisero di dedicargli la via denominandola via direttissima John Harlin. Né si possono dimenticare gli altri componenti del gruppo che si sono adoperati per attrezzare tratti di parete ed essere utili in qualsiasi circostanza. Essi sono: Layton Kor (USA), Mich Burke, Chris Bonington, Don Whillans (Inghilterra) e Toni Hiebeler, Rolf Rosenzopf, Karl Golikow, Peter Haag e Gunther Schmidt (Germania). 

 

E infine l’exploit di Catherine Destivelle, classe 1960, francese, che ha stupito il mondo alpinistico. Nessuno avrebbe mai pensato che una ragazza, da sola e per di più d’inverno, potesse superare una parete così difficile e piena d’insidie. Ma tant’è. 

La Destivelle non è nuova a queste imprese che compie in solitaria. Nel 1990 sul Monte Bianco ha ripetuto la via Bonatti che corre lungo il pilastro Sudovest del Petit Dru; nel 1991, sempre sulla stessa montagna, questa volta sulla parete Ovest, ha aperto una nuova via, completata in 10 giorni. Il 1993, la vede, d’inverno, sullo sperone della Walker alle Grandes Jorasses sul Monte Bianco; nel 1994, sempre d’inverno, effettua la ripetizione, della direttissima aperta da Bonatti nel 1965 sulla parete Nord del Cervino. Salendo la Nord dell’Eiger, nel 1992, la Destivelle ha dimostrato di essere una scalatrice completa ed il riferimento principale, in campo femminile, avendo visitato tutte le principali aree di arrampicata moderna in Europa e negli Stati Uniti, ed essendosi pure dedicata negli anni immediatamente successivi all’alpinismo extraeuropeo. 

Quali sorprese dobbiamo attenderci per il futuro? 

 

 

 

 

 

Note di redazione:

1 – Il primo attacco serio all’Eigerwand fu fatto nell’agosto 1935 da Max Sedlmayer e Karl Mehringer, che furono uccisi da una tempesta al punto che venne chiamato Todesbivak (bivacco della morte a 3300m). Nel luglio 1936 vi fu la tragedia di Edi Rainer, Willy Angerer, Andreas Hinterstoisser e Toni Kurz, che morirono sulla parete nonostante i drammatici tentativi di soccorso. Il 21 giugno 1938 nei pressi della fessura difficile precipitarono Bortolo Sandri e Mario Menti. 

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