2020-08-30

I Piani Resinelli memoria e storia di un territorio


Di Cesare Perego L’alpinismo lecchese è, fin dalla fine dell’Ottocento, un’eccellenza italiana riconosciuto ed ammirato in tutto il mondo. Per il nostro territorio è però prima di tutto,un patrimonio sociale e culturale che ci appartiene nel profondo, orgogliosi di condividere con tutti coloro che vengono a camminare ed arrampicare sulle nostre montagne.

Fucina di questa importante storia lecchese e milanese è stata la Grigna, che con le sue vie di arrampicata con molte difficoltà ha rappresentato e rappresenta ancora oggi un campo scuola decisamente severo.

Se la gente di questa terra, ha avuto una peculiarità, è quella di aver saputo intrecciare lavoro in fabbrica e attività alpinistica, cercando di recuperare insieme quell’abilità di contadini che veniva dalle generazioni pre-industriali.

I Piani Resinelli con la Grigna, avrebbero potuto essere il luogo ideale come termine di un percorso strutturale e museale all’aperto, alpinismo e industria lecchese. Certo, ci sarebbe voluta una mente architettonica provvista di talento visionario e amministratori coraggiosi, per incastrare, in quel dedalo di scale di ferro, il percosrso museale, che avrebbe potuto continuare all’esterno, lungo la valle del Gerenzone, fra le vecchie chiuse e vecchie captazioni, raggiungendo l’inizio della Valcalolden, il sentiero che tutti percorrevano per arrivare in Grigna. Davvero questo percorso sarebbe stato il triuto più bello a questa memoria unica ed irripetibile.

I Piani Resinelli con la loro storia rappresentano un patrimonio inscindibile dalla città di Lecco, incastrata tra lago e montagne, nel suo essere “in pendenza”e il suo carattere. Da tempi immemorabili la necessità di tagliare alberi e fieno magro aveva spinto i suoi  abitanti a maturare la capacità di lavorare sui ripidi pendii, formando così un’elite di cacciatori-contadini-boscaioli: i rampacorni che ha svolto un’incisiva mediazione fra l’attività lavorativa e l’alpinismo.L’arrampicata nel lecchese nasce per merito di Giovanni Gandini e del gruppo legato alla sezione lecchese dell’Associazione Proletaria Escursionisti che nel 1926 scalò nei meandri della Grignetta, una minuscola ed elegante guglia. L’associazione, che portava iscritto nel suo nome la sua condanna, fu sciolta di lì a breve in occasione delle prime leggi speciali fasciste. A ogni modo il fatto è che nel 1926 a Lecco un alpinismo esisteva e poteva competere con quello dei milanesi. Dunque i membri del Dopolavoro Nuova Italia (Cassin e Boga in testa) si misero in gara con un gruppo preesestente. Il clima di competizione appare evedente se si pone caso al fatto che fu Dell’Oro (Boga) con G.B. Villa e Mario Villa nell’Agosto 1930 ad aprire la prima via nuova proprio sulla Punta Giulia, attribuendole il nome del dopolavoro che raccoglieva questi alpinisti autodidatti alle prime armi.


Sulla rivista mensile del Cai, nell’anno 1905, in rapida successione, appiono due ampie monografie – i Torrioni Magnaghi  di Angelo Rossini e la Cresta Segantini di Eugenio Moraschini – che di fatto inauguravano la pubblicistica legata all’arrampicata nelle Grigne. Entrambi gli articoli, toccano pressochè tutti gli aspetti riguardanti i loro soggetti e hanno verosimilmente rappresentato, trentadue anni prima della pubblicazione della guida di Silvio Saglio, dei preziosi vandemecum per coloro che intendevano affrontare queste rocce. I lettori e gli studiosi moderni, in quegli scritti, possono invece scoprire aspetti trascurati della storia del gruppo calcareo lecchese e poi cogliere, al di là dello stile dei due autori, alcuni elementi ancora attuali.Di particolare interesse, in entrambi i contributi, le informazioni toponomastiche.

Fu Giulio Clerici, il 12 Marzo 1900, a proporre all’assemblea del Cai di Milano “di battezzare col nome del povero Magnaghi presidente del sodalizio, scomparso pochi giorni prima) quel nudo contrafforte roccioso”, proposta accetta all’unanimità. A proposito della Cresta Segantini, invece, nello scritto di Eugenio Moraschini possiamo leggere che fu nel 1899, l’alpinista Giulio Clerici, a “imporre” alla cresta, il nome di Giovanni Segantini famoso pittore, scomparso prorio in quell’anno.

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