2020-06-17

Pio Galli e il caso Fiat


di Gianfranco Colombo Quarant’anni fa, nell’estate del 1980, scoppiò in Italia il caso Fiat. Da una parte c’era l’amministratore delegato dell’industria torinese, Cesare Romiti, dall’altra Pio Galli, il lecchese segretario nazionale della Fiom, i metalmeccanici della Cgil. Dopo aver lavorato al Caleotto, Pio Galli entra in Cgil nel 1953 e l’anno dopo viene eletto segretario della Camera del lavoro di Lecco.
Nel 1962 è chiamato dalla Cgil a ricoprire l’incarico di segretario della Fiom di Brescia; nel 1964 entra nella segreteria nazionale della Fiom e nel 1977 ne diviene segretario nazionale, carica che mantiene sino al 1985.  Durante la sua segreteria, Galli attraversa un periodo complicatissimo della nostra Repubblica, deve fare i conti, infatti, anche con la violenza dei cosiddetti “anni di piombo”. Allo scontro con la Fiat si arriva dopo che il 31 luglio di quel 1980 Cesare Romiti succede ad Umberto Agnelli come amministratore delegato. Ai primi di settembre la Fiat lascia trapelare l’intenzione di licenziare migliaia di lavoratori. Gli incontri tra la Federazione lavoratori metalmeccanici, che riuniva le federazioni sindacali dei lavoratori metalmeccanici di Cgil, Cisl e Uil, ed i vertici della Fiat, non approdano a nulla. Il 9 novembre l’azienda torinese comunica di aver aperto la procedura formale di licenziamento per 14.469 lavoratori; l’11 settembre scatta la mobilitazione operaia: iniziano i famosi 35 giorni della Fiat. «Quella vicenda ha segnato una svolta nella storia sociale d’Italia – ci ha detto lo stesso Pio Galli in un’intervista del 2004 – C’era chi pensava che quello della Fiat fosse solo un bluff  o una colossale manovra per alzare il prezzo del sostegno finanziario pubblico. I fatti hanno dimostrato che si trattava, come avevano ben capito i lavoratori, di un tentativo di battere sul campo i sindacati. In quel 1980 il problema più assillante fu quello di riuscire a convincere le Confederazioni e le forze della sinistra che la Fiat faceva sul serio, che voleva arrivare a licenziare 23 mila lavoratori». Da questo momento scatta la reazione dei lavoratori e dei sindacati. Ci sono ininterrotti scioperi quotidiani di sei ore dopo un turno lavorativo di due e picchetti sempre presenti ai cancelli degli stabilimenti Fiat. «L’azienda – precisava ancora Pio Galli – a seguito della dura lotta sostenuta dai lavoratori, ritirò i licenziamenti ma chiese di mettere in cassa integrazione a zero ore 23 mila dipendenti. Presentammo una controproposta indicando soluzioni più razionali ed in particolare la cassa integrazione a rotazione perché nessun lavoratore si sentisse nell’anticamera del licenziamento.
Ma era proprio questo che la Fiat voleva evitare». Il 25 settembre 1980 si svolge lo sciopero generale dei metalmeccanici in tutto il paese, ma a complicare il tutto, il 27 settembre cade il governo Cossiga. Nello stesso giorno la Fiat annuncia la collocazione in cassa integrazione di 23 mila lavoratori. Uno sciopero generale nazionale si tiene il 10 ottobre e per il 14 dello stesso mese viene fissata la ripresa delle trattative. Ma proprio quel giorno accade un fatto che spariglia di nuovo le carte: a Torino si svolge  la “marcia dei quarantamila”. Migliaia di impiegati e quadri della Fiat sfilano per le strade del capoluogo piemontese in segno di protesta contro i picchettaggi che impedivano loro, da 35 giorni, di entrare in fabbrica. E’ per tutti un avvenimento shock, che condiziona le trattative tra Fiat e sindacati. L’incontro previsto viene prima aggiornato e poi ha luogo con inizio alle ventidue: alle cinque del mattino successivo si raggiunge l’accordo. «Si erano evitati 23 mila licenziamenti – concludeva Pio Galli nel 2004 – ma c’erano altrettanti lavoratori in cassa integrazione. Quello che più mi ha amareggiato è stata la cattiva gestione della fase finale. Non abbiamo saputo informare i lavoratori, non li abbiamo sufficientemente resi edotti dei contenuti dell’accordo e della gestione dello stesso, per cui le assemblee, ad accordo concluso, sono state un disastro». Un commento amaro che Pio Galli ha confermato anche nell’analisi di questa trattativa fatta nella sua autobiografia: «Il sindacato era stato messo all’angolo e, in parte, ci si era messo da solo. Nei miei ultimi anni di direzione della Fiom, mi trovavo nelle condizioni di uno scalatore che giunto a metà di una parete non riesce più ad andare avanti».

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