2020-05-09

1994 ci lasciava Luciano Lombardi

Gianfranco Colombo - Ci siamo lasciati scappare l’anniversario della morte di Luciano Lombardi, avvenuta nel giugno del 1994. Cerchiamo di recuperare, perché il personaggio lo merita. Luciano Lombardi era un vero galantuomo, sensibile come pochi, sapeva calare la sua profonda visione della vita dentro i suoi versi o i suoi articoli, che avevano una caratteristica comune: non erano mai banali.
La scrittura per Lombardi è stata la dimensione in cui ritrovarsi, fuori dalle costrizioni sociali e dagli obblighi della professione. Come scrive lui stesso in una sua lirica: «Fummo soltanto/abili giocolieri di parole» (“La stella dell’esilio”). Luciano Lombardi nasce a Stilo, in Calabria, nel 1928, ma a soli cinque anni si trasferisce a Inesio, una frazione di Vendrogno, al seguito del padre che aveva assunto l’incarico di medico condotto di Bellano e Vendrogno. Nel 1955, dopo la morte del padre, trova casa a Bellano. Vince un concorso per un impiego al Tribunale Militare di Milano e qui rimane sino al 1965, per poi essere trasferito prima a Torino e poi a La Spezia, sede in cui termina la sua carriera con il grado di colonnello (1977).  Torna allora definitivamente a Bellano e qui si dedica a scrivere con sempre maggiore disponibilità di tempo. Inizia presto a collaborare al settimanale “Il Resegone” e poi, dal 1991, anche al quotidiano “La Provincia”. Pubblica varie raccolte di poesie, conseguendo riconoscimenti e premi importanti; approfondisce poi la sua ricerca di storia locale e scrive i testi di una serie di documentari storico-artistici in collaborazione con Pier Luigi Grosso, che verranno trasmessi dalle reti Rai e dalla Tv Svizzera. Ci lascia improvvisamente il 15 giugno del 1994. Nei suoi scritti, siano essi in poesia o in prosa, Lombardi privilegia alcune tematiche ed una di queste è sicuramente il profondo attaccamento a quella terra tra lago e monti in cui si trova catapultato a soli cinque anni: «Mi piacque subito quel posto, d’istinto, quell’istinto che hanno i ragazzi e che non tradisce mai. La luna la sera brillava sulle acque del Pioverna, i rintocchi di San Lorenzo vibravano a lungo nelle notti serene. Un paese che se scopri non puoi più lasciare e, se lasci, lo porti sempre nel cuore: per tutta la vita». E’ un legame, questo con la Muggiasca, che Lombardi conserverà per tutta la vita, così come il ricordo di quella villa di Inesio che resta il simbolo di una giovane età felice ormai trascorsa: «Se il vento batte alle imposte/ non v’ha più chi sussulti./ Attendi la fine/ o forse sei morta/ con la mia breve infanzia» (“Villa d’Inesio”). Nel suo scrivere intorno alle memorie di una vita che va allungando le sue ombre, Lombardi ritorna spesso sugli anni della guerra ed in particolare sulla Resistenza, che lui ovviamente “legge” al di là di ogni tentazione celebrativa. Ne è un esempio perfetto il romanzo “Pelle di vento”, scritto nel 1958 e pubblicato postumo nel novembre del 1994. Ispirato ad un episodio veramente accaduto, “Pelle di vento” narra gli ultimi mesi della lotta partigiana sulle montagne lombarde tra la Grigna ed il lago. Lombardi descrive la Resistenza nostrana con assoluto disincanto e un piglio antieroico che fanno del suo romanzo un racconto di vita, prima ancora che una storia di guerra. Ogni grande tragedia si compone di innumerevoli, minimi episodi, che nella loro apparente marginalità chiariscono gli istinti di un popolo e la sua vocazione più intima. Il pregio di quest’opera sta soprattutto nella capacità dell’autore di raccontare, senza enfasi né retorica, la stanchezza di gente incapace di capire e accettare sino in fondo quella guerra. Sotto la Grigna si può morire per il proprio ideale, ma si può anche essere uccisi per gelosia o per un gesto di rabbia folle. Questo era Luciano Lombardi, un gentile signore, che lasciava in tutti coloro che incontrava il segno della sua percettibile bontà. Nei suoi versi, in particolare, si colgono i pensieri di un uomo che non disdegnava di confrontarsi con le radicali domande del nostro esistere. Lo ha sempre fatto sottovoce e con un grande senso dell’ironia, che cogliamo perfettamente in due versi che sono una sorta di testamento: «Ti lascio in eredità il nulla/ come si conviene a vecchi amici».

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