2019-08-19

La crisi del Cotonificio Fossati di Sondrio e quei 2.000 operai sul lastrico

Nel servizio dei primi anni Settanta  apparso su “Giorni - Via Nuove” si leggeva: “L’eroe dei due mondi si trova tra le mani una bandiera rossa”



di Claudio Redaelli
Vie Nuove fu fondata nel 1946 da Luigi Longo, antifascista e segretario politico del Partito comunista italiano dal ’64 al ’72. Nel ’71 la rivista mutò denominazione in Giorni - Vie Nuove e sotto la direzione di Davide Lajolo, che la dirigeva dal 1969, proseguì le pubblicazioni fino al 1978.

C’è anche il nome del sottoscritto tra quelli dei collaboratori storici della rivista, che aveva una propria redazione a Milano e un’altra a Roma. E c’è, tornando indietro negli anni, il ricordo di un servizio della prima metà degli anni Settanta, a mia firma, sulla grave crisi che colpì il Cotonificio Fossati di Sondrio dal titolo emblematico: Duemila operai sul lastrico vuol dire crisi per la Valtellina.
In tempi tutt’altro che sereni proprio sul fronte occupazionale quel servizio giornalistico e quella crisi, che aveva investito anche la Manifattura Adda di Berbenno, inducono a riflettere. E appunto a guardarsi indietro.
“Attorno a tutti quei lavoratori che si sono visti minacciato il posto di lavoro da decisioni economico-aziendali avventate e imprecise - si leggeva in quell’articolo - si muove l’intera economia di una valle che per troppo tempo ha dovuto subire l’emarginazione dal resto della Lombardia”.
E ancora: “I negozi, i supermercati, tutte le attività commerciali hanno subìto un calo tale da far presagire un pessimo futuro. A Sondrio quei licenziamenti che hanno portato all’occupazione della fabbrica e poi alla requisizione sono un grosso pericolo: se ne sono accorti tutti, dai politici alle varie categorie sociali senza distinzione di colore e di ideologia. Tanto più che quanto è successo viene a colpire una regione, la Valtellina, che per precise scelte economiche e strutturali non poteva vantare un’economia fiorentissima”.
Il servizio proseguiva ricordando che la Fossati, con la sua crisi, con la sua lotta operaia suscitata da una rabbia tenuta in corpo da anni, aveva tracciato un nuovo esempio di quali potessero essere le risorse degli operai, dei lavoratori della provincia sottoposti per una inclinazione psicologica a essere valutati come “inferiori”.
Si citava poi la significativa lettera inviata agli operai in lotta da alcuni alunni di una quinta elementare  di Ponte Valtellina. “Resistete e continuate questa lotta civile - scrivevano i ragazzi - questa volta toccherà ai padroni cedere. Le vostre canzoni di protesta sono molto belle e noi vi proponiamo di alzare il volume dell’altoparlante in modo tale che le senta il vostro padrone a Monza e che non possa dormire sonni tranquilli”.
E, parlando del cavalier Felice Fossati, chi oggi scrive evidenziava come, nonostante i miliardi ottenuti a suo tempo dal fondo della legge tessile, si fosse giunti alla decisione della direzione aziendale di non più pagare stipendi e salari e di ridurre la produzione.
“La situazione diventa sempre più drammatica - si leggeva ancora nel servizio in questione - e i sindacati della federazione provinciale Cgil-Cisl-Uil rivendicano il diritto di conoscere la situazione finanziaria dell’azienda, affermando che si dovrà far luce sulle responsabilità penali e civili della gestione. Come se non bastasse, i sindacati si accorgono di un altro “buco” finanziario relativo ai contributi previdenziali non pagati. Gli operai, per evitare colpi di mano della direzione, presidiano in continuazione le due industrie della Fossati di Sondrio e la Manifattura Adda di Berbenno. Presidiano anche la piazza Garibaldi del capoluogo valtellinese. L’“eroe dei due mondi” si trova tra le mani una bandiera rossa”.

Emblematica l’ultima considerazione: “Ma la battaglia sarà ancora lunga…”.

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