2019-04-24

LE DONNE NELLA RESISTENZA: LUISA DENTI


Enrico Magni

Luisa Denti è nata a Lecco il 31 gennaio 1929, ha partecipato alla Resistenza facendo la staffetta tra Lecco-Como, Milano, Morbegno, Valtellina, era sempre pronta a muoversi con la bicicletta o con il treno per raggiungere i compagni e i partigiani. Aveva solo 15 anni, eppure, era già in grado di scegliere con chi stare e combattere per la Libertà, l’uguaglianza e la democrazia. Di fronte a questa donna e a tutte le donne della Resistenza è inevitabile domandarsi se veramente comprendiamo oggi il significato profondo del sangue versato sui monti, sulle strade di questi giovani corpi; qualche dubbio insorge, qualche colpa abbiamo. 
Luisa Denti a 15 anni scelse con chi stare anche per quelli del 2019.  

Cosa si ricorda degli anni della guerra?  Ricordo gli scioperi del '44 perché mia madre lavorava in fabbricadurante la guerra. Mi ricordo che era la prima volta che sentivo di sciopero bianco, non riuscivo a capire cosa fosse. Mia mamma aveva iniziato a lavorare alle ferriere Cima all'inizio del '44, dopo la morte mio padre. Adesso non so neanche più se esistano le ferriere Cima a Germanedo. Gli scioperi del marzo 1944 sono stati i più famosi a Lecco. Io avevo quindici anni.
Lavorava già?Non ancora. Avevo finito le scuole nel 1943 e verso la metà del 1944 ho cominciato a lavorare per il PCI, facevo lavori di copiatura di documenti, volantini e cose del genere. Nel settembre del '44, le staffette partigiane tenevano i collegamenti tra le formazioni che stavano in Valtellina, la divisione della Brigata Garibaldi che aveva sede a Lecco e la base a Milano. Mi hanno chiamata per sostituire una di queste staffette e ho cominciato a lavorare per le formazioni partigiane.
Collegava Lecco con la montagna? Anche con Milano. Si partiva da Lecco e si andava a Milano a prendere i documenti, i soldi, le armi. A Como c'era la segreteria del partito edio ci andavo soprattutto a prendere il materiale di propaganda e a volte delle armi. Mi recavo spesso in Valtellina, a Talamona, a Morbegno tenevo i collegamenti anche con le brigate che stavano di là del lago ad esempio con la 52 che stava a Dongo.
Non ha mai avuto problemi durante questi spostamenti?  No, non mi è mai successo niente di grave. Ero incosciente. Ero molto giovane. È sempre andato tutto bene, nonostante abbia rischiato parecchio, soprattutto nei viaggi tra Lecco e Como. Mentre per andare in Valtellina o a Milano, mi muovevo con il treno senza problemi, per recarmi a Como si doveva avere un permesso speciale rilascialo dalla questura. C'era solo il pullman, la ferrovia Como-Lecco era bloccata.
Tutte le volte che si recava a Como doveva vere un nuovo permessoSì, con la data del viaggio e con l'autorizzazione della Questura. Il viaggio doveva essere giustificato. Durante la Repubblica di Salò, a Como c'erano diverse sedi di comandi militari, compreso il comando tedesco che stavaa Cernobbio. Per questo motivo le entrate e le uscite da Como erano molto controllate. Dalla primavera del '45 non ho piùfatto il tra­gitto Lecco-Como in pullman perché non riuscivo più giustificarecheogni settimana ci andassi. Allora ho usato la bicicletta.
Certe volte riuscivo a cancellare le date, a modificarle: se avevo un per­messo per il 13, riuscivo a correggere il 13 in 18 o 19, così utilizzavo il permesso due volte.
Sul pullman eseguivano parecchi controlli. Quando salivo, mi facevano lasciare le mie cose, pacchi, borse, da un lato e mi facevano sedere dal­l'altro. Io avevo paura che qualcuno, scendendo prima di me, me le por­tasse via. Allora senza farmi vedere cambiavo di posto.
Sono stata fortunata, mai nessuno mi ha mai fatto aprire un pacco. Dice­vo che c'erano solo effetti personali, e loro si fidavano sulla parola. Sul treno era più facile scambiarsi il materiale. Soprattutto durante il passaggio in galleria. Prima ci individuavamo, poi al buio ci scambiava­mo le cose. Avevamo anche le borse col doppio fondo, mentre il partito non ne era fornito. I partigiani erano più organizzati. Avevano più roba da trasportare e anche più a rischio. Di solito le armi si mettevano ad­dosso. Quando facevano le perquisizioni, i documenti, le armi, i soldi, le carte annonarie potevano essere scoperte. Non mi è mai successo nien­te. Probabilmente sono stata molto fortunata.
Che incarico aveva alla C.d.L.?Dal 1946 in avanti ho lavorato alla Camera del Lavoro di Lecco come segretaria. Ho conosciuto Friso prima di andare alla C.d.L. perché ho lavorato durante il periodo partigiano, mentre lui era nella brigata Rossclli. Allora si era costituito il gruppo di difesa delle donne ed io avevo lavora­to per i CVL.
Sono stata la prima segretaria del Segretario democristiano Celeste Caimi; fra l'altro sono andata alla C.d.L. quando Caimi era appena arrivato. Le segretarie non erano divise politicamente, tant'è vero che Gabriele Invernizzi aveva come segretaria una mia compagna di scuola che era democristiana, mentre io sono stata assegnata a Caimi. Ho lavorato ab­bastanza bene con lui.
Ho conosciuto Gabriele Invernizzi nell'agosto del 1945; lui era tornato proprio allora dal bergamasco o dal bresciano, dove aveva fatto il parti­giano. Poi è venuto a Lecco e l'hanno destinato anziché all'attività poli­tica, alla C.d.L.
Suo padre, Luigi, faceva il fattorino alla C.d.L. di Lecco ed era un perso­naggio veramente straordinario. Un vecchio socialista.
Come mai è andata via dalla C.d.L.?Perché il PCI aveva bisogno e allora ci sono andata a lavorare. Dove­vo fare i verbali delle riunioni; in genere le riunioni si registravano e poi si mettevano a verbale. Poi siamo venuti a Como e sono andata alla C.d.L. di Como. Della C.d.L. di Lecco, anche quando abitavo a Como, ho se­guito tutto. Abbiamo girato molto, da Como a Brescia. Da Brescia a Praga, da Praga a Roma.
Che cosa si ricorda del Patto Atalantico?Sì. Mi ricordo che era un sabato, sarà stato quasi mezzogiorno, quan­do è successo il fattaccio. A mezzogiorno c'era già la gente in piazza.
E’ stata una manifestazione spontaneaSì, spontanea. Appena i lavoratori hanno saputo l'accaduto, sono usci­ti tutti e sono venuti alla C.d.L. Poi si sono recati in Corso Martiri, dove avevano portato il Codega e lì è successo il pandemonio.
Si è trattato di una manifestazione violenta?In certi casi anche un po' violenta. I dimostranti hanno sfondato il portone della questura. Al Codega gliele hanno date, quando sono riusci­ti a trovarlo nello sgabuzzino del carbone, l'hanno tirato fuori e l'hanno portato sul balcone a fargli chiedere scusa per quello che aveva fatto.
I fatti Codega sono stati riesumati due anni dopo; si è trattato di un pretesto per fare gli arrestiSì. C'era un disegno politico, perché il caso è venuto fuori dopo la manifestazione del 1949 contro il Patto Atlantico; in sostanza voleva­no distruggere la C.d.L. Hanno arrestato tutti i sindacalisti. Alla C.d.L. eravamo rimasti io, che ero la segretaria, Gabriele Invernizzi, perché era deputato e aveva I 'im­munità parlamentare e un compagno che lavorava all’INCA. Gli altri erano stati tutti arrestati, compresi alcuni compagni che non lavoravano a Lecco, mi ricordo Bruno Spreafico che lavorava a Oggiono e altri compagni delle fabbriche. Il fatto Codega è saltato fuori poco dopo.
E’strano che abbiano tirato fuori questo episodio dopo un anno e mezzo.Le cose erano cambiate. Con Scelba tiravano fuori tutte le vecchie lotte per arrestare un maggior numero di persone. Mio marito è stato arrestato il 31 marzo alle cinque di mattina per il Patto Atlantico. Tra l'altro non c'entrava proprio: non faceva parte della C.d.L., era lì per caso, ha assistito al fatto. Ha chiamato soltanto la polizia per far arrestare il Codega, perché Gabriele Invemizzi era tutto insanguinato; gli avevano rotto gli occhiali e quindi non poteva far niente. Noi, intan­to abbiamo incominciato a telefonare in giro per spiegare cosa era suc­cesso.
Come funzionava il Movimento dei "Partigiani della Pace"?Il Movimentoèsorto soprattutto a seguito della guerra in Corea. C'era il pericolo di una grande guerra. È stata una grossa battaglia perché in tutta Italia si erano formati i Comitati per la Pace .
Chi vi faceva parte?Vi facevano parte socialisti, comunisti e indipendenti. Era un movi­mento aperto a tutti.
Le iniziative consistevano nella raccolta di firme per la pace in Corea, in manifestazioni contro la guerra batteriologica, insomma, tutto quello che contrastava la guerra. C'era veramente il pericolo di una guerra. Si dovevano creare le basi in Italia, e quindi c'era questa lotta contro il famoso Patto Atlantico, che coinvolgeva l'Italia nelle questioni americane, e quindi contro l' installazione delle basi.
Chi si opponeva rischiava la galera?Era pericoloso anche solo distribuire volantini; sono stata processata solo per aver distribuito volantini al mercato. Anche chi face­va un manifesto se non aveva l'autorizzazione, era processato. Era rischioso anche solo scrivere "VlVA LA PACE". C'era veramente una situazione molto difficile e questo movimento era sorto per creare un' opi­nione pubblica che fosse contro le basi americane, contro l'accettazione del Patto Atlantico, contro la Guerra di Corea che ancora continuava, contro l'uso delle armi chimiche.
Questo movimento era di carattere internazionale, che coinvolgeva so­prattutto i paesi dell'occidente europeo, collegati all'URSS e ai paesi socialisti, non certo 1'America. Si profilava anche il problema del riarmo tedesco che fece scattare l’'operazione Bartesaghi che si era staccato dalla DC.
Ugo Bartesaghi era all'epoca un feroce anticomunista. Nella campagna elettorale del 1948, tutte le sere a Lecco in Piazza Garibaldi si riunivano gruppi di persone. Era una cosa molto interessante: si andava in piazza durante la campagna elettorale e lì c'erano i dibattiti a gruppetti.
Ma erano dibattiti organizzati dalla DC ? No, spontanei. C'era anche questo Bartesaghi, uno di quei "bigottoni" ... Gridava: "Ricordatevi le forze di Praga" ed era molto lontano da noi, anche a proposito della guerra. La lotta del 18 aprile 1940 è stata terribi­le, allora era proprio una questione di vita o di morte. Bartesaghi si è poi convertito quando è stato deputato. Mi ricordo che nel '53 quando mio marito Bruno era all'ospedale, si è presentato Bartesaghi si ricordava di lui perché avevano avuto parecchi dibattiti durante la campagna elettorale precedente. Era andato a parlare con mio marito, e questo era un segno che qualcosa stava mutando in quell'uomo.
Quando c'è stato il dibattito sul riarmo della Germania, Bartesaghi, con­trario al riarmo, si è trovato in contrasto col suo partito e quindi se n’è uscito con Mario Melloni, Giuseppe Chiarante e altri personaggi che poi sono entrati nel PCI.
Bartesaghi era stato a favore del Patto Atlantico?All'inizio sì, perché stava con la DC, poi ha cambiato idea. Poi è sem­pre stato appoggiato dal PCI ed è stato eletto nelle sue liste. Ha cono­sciuto i comunisti quando è andato al Parlamento e allora si è reso conto che non erano come credeva. Dalla DC si era staccato tutto il gruppo di Dibattito politico, la rivista della sinistra DC.
Poi però non so come, ilmovimento si è sgonfiato. È stato unmovimen­to abbastanza importante, soprattutto in certi anni. Sarebbe potuto rifio­rire quando c'è stata la guerra del Vietnam, ma erano passati tanti anni. Il movimento della pace aveva fatto cose eccellenti: manifestazioni, in­contri anche grandiosi, importanti.
Che cosa ricorda del momento della scissione della C.d.L.?Ci sono stati grossi disagi. La situazione economica era gravissima. All'interno delle fabbriche c'era il problema di organizzare i collettori che accoglievano le quote. Per dieci anni non abbiamo preso uno sti­pendio regolare, dal '49 al '58, quando già ero a Como.
Dovevamo da soli raccogliere tutte le quote, nessuna ditta tratteneva automaticamente dallo stipendio le quote sindacali. Il lavoro era vera­mente enorme, soprattutto per i compagni delle fabbriche, dove c'era una certa ostilità verso la CGIL. Non ci si poteva allontanare dal posto di lavoro per raccogliere le quote, si doveva fare all'esterno o bisognava aspettare che si finisse il turno. Le quote raccolte erano poi troppo poche rispetto alle nostre esigenze. Non avevamo più niente, né mezzi di trasporto, né riscaldamento, face­vamo tutto noi, a partire dalle pulizie.
I sindacalisti della CISL erano messi meglio?Sicuramente. Avevano le sovvenzioni. Penso che ricevessero un regolare stipendio. 
Dopo la scissione com'erano i rapporti tra i due sindacati?C'era stata una rottura davvero radicale. Non facevamo mai le trattati­ve insieme. A proposito dei licenziamenti si era sempre su posizioni opposte.
Nelle Commissioni interne c'era lo stesso clima?Non ricordo molto bene. Probabilmente nelle fabbriche dove c'era una classe operaia abbastanza forte, in cui la CGIL aveva la maggioranza, si riusciva a sopperire a quelle carenze. Altrove, come ad esempio nel comasco, tra i tessili, che erano soprattutto donne, l'influenza dei Liberi Sindacati era molto forte.
Dal punto di vista sindacale era più difficile il settore tessile rispetto a quello metalmeccanico?
Sì. Sono stati anni belli perché c'era una gran voglia di fare e anche molta solidarietà. Si dava tutto. Però era difficile organizzare qualcosa. Poi negli anni '60 c'è stato il "boom", ci sono stati miglioramenti, sono cominciate le trattenute sindacali. Mi ricordo che ricevevamo allora un assegno di 1.000 lire per ogni operaio. Ciò ci ha permesso di lavorare meglio.
Nel dicembre del 1957 ci siamo trasferiti a Como, sempre alla C.d.L., perché in quel periodo era morto mio padre e non volevo lasciare sola mia madre con i miei due fratelli che erano ancora abbastanza piccoli. Ci siamo rimasti fino al 1964.
Con mio marito siamo andati a Brescia, dove lui sostituiva il segretario Galli alla Fiom. Siamo rimasti 5 anni. Io intanto ha lavorato alla federazione del PCI. A Brescia ho avuto delle grosse soddisfazioni. Si era all'inizio dell'unità sindacale. Nel 1970 ci siamo trasferiti a Praga con mio marito nominato segretario dell’Unione Internazionale dei Sin­dacati Metallurgici, collegata alla Federazione Sindacati Mondiale. C'erano rappresentanti di tutti i paesi. Anche i nostri sindacati erano collegati. In questi tre anni ho girato il mondo. L’Uismentò era soprat­tutto un'organizzazione di rappresentanza, non operativa. Un modo per tenere assieme le organizzazioni sindacali. Da Praga poi con mio marito siamo andati a Roma.

a cura di Enrico Magni, Una lunga storia di Libertà: dalla resistenza all’impegno sindacale, Camera del lavoro di Lecco e ANPI, edizioni Logos, 1996


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