2019-03-08

GIGI ALIPPI: L’ALPINISTA LECCHESE CHE HA SAPUTO RESPIRARE “NEL PROFUMO DELLE SUE MONTAGNE”

di Renato Frigerio Chi, per un’età già ragguardevole per il numero degli anni, viene toccato frequentemente dal vedere assottigliarsi sempre di più il corteo delle persone con cui ha condiviso un buon tratto di strada, trova spiacevole ingoiare con il ricordo l’amaro dovuto alla scomparsa di un volto amico. È un po’ quello che avverto, mentre sono invitato a stendere un breve profilo di Gigi Alippi, uno degli ultimi alpinisti di vecchio stampo che era rimasto in vita fino al 28 marzo dello scorso anno. Già il genere del malore che ne aveva reso necessario il ricovero ospedaliero mi aveva scosso amaramente, immaginarsi poi quale mazzata fu per me, poche settimane dopo, l’annuncio che per lui era tutto finito. 

Con lui se ne andava una parte della mia vita, e la mia mente si metteva a ripercorrere le esperienze derivate da una persona che mi aveva dato tanto di sé. Penso che ognuno che ha avuto la stessa mia fortuna di aver frequentato un uomo come Gigi Alippi, a lui debba riservare non un semplice ricordo, ma una profonda riconoscenza. È anche grazie a lui, se la mia passione per la montagna e l’alpinismo è andata crescendo e si è consolidata. 
Lui è stato certamente un alpinista autentico e completo, pur se il suo nome difficilmente si troverà citato sulle guide che indicano le vie di arrampicata più famose. Forse molti non si saranno nemmeno accorti di lui, che pure apparteneva ad una generazione e ad un gruppo alpinistico di eccezionale importanza. 
Diciamo che cose grandiose non mancano nel suo lussuoso curriculum, che comprende salite di ogni genere, dalle Alpi all’Europa, dall’Artico all’Antartide, alle montagne delle due Americhe e dei continenti africano ed asiatico. Basti per tutte citare la sua partecipazione con i Ragni di Lecco alla conquista del McKinley per la parete Sud e a quella della parete Ovest del Cerro Torre. Ma non è di questi e altri celebri trofei che è significativo parlare: Gigi è stato soprattutto l’alpinista che amava la montagna per la montagna e nel loro insieme, senza escluderne nessuna. Ha cercato di frequentarle fino agli ultimi giorni della sua vita, con la gioia di stare sempre al loro contatto, per assaporarne la loro bellezza con tutti i suoi sensi, compreso quello che è riservato soltanto a chi le ama con la più profonda passione. Tutti infatti possono ammirare con gli occhi le molteplici bellezze delle montagne, ascoltare con l’orecchio il suono violento dei venti che le percorrono: ma è privilegio esclusivo di chi, come lui, ne è innamorato, poter sentire perfino il loro profumo. È proprio questo profumo che si avverte nel volume dove ha raccolto ultimamente tante delle sue esperienze che aveva conservato a lungo nel cuore e che ora ci ha lasciato con il titolo “Il profumo delle mie montagne”. 
L’alpinismo ne aveva davvero intriso la sua persona, tanto che nessuno, incontrandolo, si meravigliava che fosse soltanto la montagna a tener banco nelle conversazioni, che si prolungavano e che non si trovava più modo di troncare. 
Oltre al ricordo che con il tempo andrà inesorabilmente a sfumare, con il suo libro ci rimane di lui il racconto di tanti episodi, alle volte piccoli e semplici, ma sempre significativi di una passione invasiva e prorompente, capaci di contribuire a conservare una tradizione alpinistica che si affida all’amore sincero e alla semplicità dei montanari del passato. 

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