2018-10-13

Storia della Brianza, quell’opera “che a una terra come la nostra mancava”

Di quel volume l’editore Paolo Cattaneo pubblicò anche un estratto, a cura di Paola Scaglione, riferito alla letteratura colta e alla gente briantea





di Claudio Redaelli
L’anno di pubblicazione è il 2008 ed è nel dicembre appunto di dieci anni fa che lo scrittore e saggista Eugenio Corti, scomparso nel febbraio 2014, indirizzò all’editore oggionese Paolo Cattaneo una lettera in cui parlava di “un volume magnifico” e della Storia della Brianza come di un’opera “che a una terra come la nostra mancava e per la quale tutti noi le dobbiamo essere riconoscenti”.

Di quella stessa Storia della Brianza era stato pubblicato anche un estratto - a cura di Paola Scaglione - riferito alla “letteratura colta” e alla “gente di Brianza”.
Nelle pagine introduttive vi si leggeva che “la prima data di riferimento alla consuetudine dei cittadini di passare l’estate nel territorio brianteo è offerta dalla Madonna d’Imbevera di Cesare Cantù”. Il romanzo, la cui stesura risale al 1834, riprende la leggenda popolare sulla nascita del Santuario di Bevera, delineando una ricostruzione storica e sociale dell’ambiente alla fine del XVI secolo sostanzialmente affidabile.
La vicenda narrata inizia il 7 settembre 1590, con la descrizione di una terra in cui è difficile viaggiare per la presenza di “masnade di ladri” che “aggredivano e depredavano casali e borgate” e per le vessazioni dei feudatari “che, tiranneggiando ciascuno nel suo Stato, esteso poco più di un miglio, imponevano ad arbitrio taglie, servizi, pedaggi e sotto l’ombra di quella forza brutale che aveva acquistato il nome di diritto esercitavano le angherie e le prepotenze dei ladroni insieme e della soldatesca”.

Ciò nonostante la Brianza era considerata comunque, nel romanzo di Cantù, un luogo adatto alle scampagnate. L’opera, poi, per i temi, le immagini e l’ambientazione ricalcava la prima edizione dei Promessi sposi e nella parte conclusiva attestava appunto l’uso di villeggiare in Brianza.
Più avanti nel testo si leggeva: “Si è fatto rilevare che la Brianza dei poeti è una terra d villeggiatura vista da villeggianti. Se tale considerazione corrisponde a verità per la maggioranza degli autori che scrivono del territorio brianteo, si registrano almeno nell’ambito della letteratura colta alcune eccezioni: vi sono innanzitutto letterati che in Brianza trascorrono parte significativa e consistente della loro esistenza… Occorre inoltre considerare il caso di quanti sono anagraficamente briantei, come Giuseppe Parini, nativo di Bosisio, Cesare Cantù originario di Brivio e il besanese Eugenio Corti. I primi due si allontanano dalla Brianza in giovane età e vi ritornano episodicamente, avendo assunto comunque l’habitus mentale dei cittadini. In Brianza trascorre invece l’intera vita Corti che, per l’approccio letterario al luogo natale, rappresenta un caso unico”.
Molteplici, nell’Estratto da Storia della Brianza di Cattaneo editore, sono i riferimenti a quella terra e al suo paesaggio. Tra gli altri quello in cui si afferma che il paesaggio brianteo presentato da Ugo Foscolo nei versi di saluto del carme Le Grazie rivela un’ascendenza letteraria derivante dalla trasfigurazione poetica di una percezione autobiograficamente reale del territorio.
“In Foscolo - vi si legge - il lago di Pusiano è trasfigurato in un Eupili letterario e ampiamente di maniera, scintillante e ondeggiante all’etere stellato più azzurro… In ogni caso, di rado gli autori che fanno riferimento nei loro scritti al fascino del paesaggio brianteo abbandonano il punto di vista cittadino, anche quando lasciano emergere un’idealizzata simpatia o un attaccamento nostalgico alla Brianza”.

Nell’Estratto “per Eugenio Corti” non mancano riferimenti neppure all’approccio distaccato al nostro territorio. E’ il caso di Luigi Santucci, che in una sua opera trascrive una serie di fantasiose divagazioni in cui i cenni sulla  Brianza fanno da cornice alla pubblicazione di alcuni disegni che a questa regione si ispirano.
Su una mongolfiera di nome Teodolinda l’autore compie un’immaginaria traversata per il cielo brianteo. Si tratta - precisa - dell’unica modalità possibile di accostarsi a questa terra, perché “la Brianza non si può ormai praticare e frequentare, riconoscere e godere che dall’alto, a prudente e illusoria distanza… di sicurezza”.
La pubblicazione datata come detto 2008 si sofferma quindi sulla questione dei confini, sul fondale dei monti e sulla terra “dell’uomo e per l’uomo”. In quest’ultima parte si afferma che “la definizione della Brianza nella letteratura colta appare, fin dall’irrisolta questione dei confini, piuttosto sfumata. Il territorio presenta, è vero, caratteristiche peculiari che, miscelandosi, danno vita a un unicum ambientale e culturale, ma queste non sono circoscritte a un’area determinabile tracciando linee sulla carta geografica”.

Quindi un cenno alla morfologia, “ingrediente essenziale del clima di questa terra posta in mezzo tra le temperature estreme della pianura e della zona di montagna”.

A quel clima lo stesso Manzoni, pur in genere non eccessivamente tenero verso la regione briantea, riconosce influssi benefici, come traspare dalla risposta a Vincenzo Monti, che in una missiva del giugno 1827 lamentava le proprie cattive condizioni fisiche: “Potete immaginarvi quanto mi dolga l’intendere dalla vostra lettera che l’aria della Brianza non v’abbia portato quel giovamento che vi pareva di poterne aspettare”.

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