2018-07-07

SULL'AUTOLESIONISMO DEI LECCHESI

Di Enrico Magni L'estate è un periodo interessante sia per la condizione meteorologica che alterna, in questo pezzo di terra, periodi di caldo afoso a temporali intensi e bruschi che si ribellano al dominio di Helios, sia per delle espressioni verbali o scritte di alcuni personaggi significativi che, per una serie di coincidenze dettate dalla realtà, o sollecitate dallo strano gioco biotermico, rilasciano delle opinioni inaspettate.

Un'affermazione o dichiarazione di questo tipo è quella di mons. Francesco Cecchin, che, in un’intervista a un quotidiano locale, afferma che i lecchesi, oltre alla solita ovvietà di essere dei lavoratori, sono degli autolesionisti. Interessante. Dopo undici anni di attività pastorale a Lecco, prima di lasciarla, giunge a questa considerazione.
La cosa è stucchevole, non perché sia un’interpretazione antropologica innovativa per questo locus (è un po' come la scoperta della grande Lecco) ma perché è espressa da un soggetto autorevole per la città. I lecchesi sanno di essere poco assertivi, introversi e deleganti le politiche sociali e culturali. 
E' dalla prima rivoluzione industriale del millesettecento che i lecchesi seguono il processo trasformativo dell'industrializzazione e oggi quello tecnologico. Non è un caso che ci sia un polo universitario ingegneristico e tecnologico. Alessandro Manzoni è una ciliegina ereditata che fa gola ai pochi cultori locali: scorre e galleggia sull'Adda insieme alle politiche del turismo.
Ma cosa voleva dire il Monsignore?
Quali sono i non detti che si porta via? 
Non è possibile saperlo, forse è bene che sia così. 
Quell'affermazione così importante è stata rimossa, è stata archiviata come se non fosse stata detta: è nello stile di chi vuol evitare un confronto, una riflessione, forse in contrasto con chi l'ha espressa.
Dire che i lecchesi siano degli autolesionisti significa individuare in loro dei tratti di masochismo, d’inibizione, di limitazione nelle potenzialità civiche e politiche; se invece il riferimento riguardasse la dimensione religiosa allora può essere che i lecchesi siano percepiti come dei conservatori, diffidenti del prossimo, invidiosi, autoreferenziali. 
Certo è che qualcosa non ha corrisposto alle attese. 
Se i lecchesi sono dei pragmatici, centrati sul fare più che sul culturale (sale cinematografiche chiuse, teatro chiuso, auditorio inesistente) e considerano il pensiero umanistico qualcosa che va bene nei salotti per trascorre piacevolmente una serata o per spolverarsi dalla polvere dell'ufficio, allora sarebbe stato opportuno sollecitare questa compagnia a compiere opere pubbliche.
La considerazione sull’autolesionismo non coinvolge i marginali della città, i poveri che si rivolgono alla Caritas o il ceto medio o medio – basso; no, l'affermazione è indirizzata alla classe alta e comprende quella politica, produttiva e dei credenti cattolici. 
E' una città che richiede una sollecitazione più strutturale. 
Non è facile smuovere questo piccolo borgo che si sente protetto dai monti, dal lago e dalla lunga storia industriale e postindustriale. 
In che cosa Lecco continua a farsi male? 
Il Sindaco ha appena rilasciato un'intervista in cui è convinto che Lecco è all'altezza della situazione. 
Forse, anche il Sindaco, senza accorgersene, è preso da questo meccanismo psicosociale autolesionistico?
In altri luoghi avrà la possibilità di provare maggiori  gratificazioni. Ha ragione,  i lecchesi non sanno cosa sia la gratificazione. 


                       

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