160 pagine – copertina con 2 ante – foto b/n e colori – formato cm.
23x15,5 –
Euro 19,90 – Collana “I Rampicanti” – Edizioni Versante Sud
Tutti abbiamo un nome personale, con il quale fin dalla nascita veniamo
interpellati dai nostri cari e da chi ci è più vicino per amicizia. È un nome
che non dice nulla di noi, e ormai più nemmeno nel riferimento generazionale,
come succedeva fino a pochi decenni fa. C’è ancora invece, almeno nei piccoli
paesi, l’usanza di un nomignolo che, attribuito in origine ad una persona per
una sua particolare caratteristica, proseguiva ad identificare, per le
successive generazioni, uno stesso gruppo famigliare.
Camòs, uguale a camoscio nel dialetto bergamasco, era il soprannome che
contrassegnava i componenti del ceppo di Bruno Tassi: ma perché proprio questo
nome, nessuno in partenza si sarebbe mai immaginato sarebbe potuto in seguito
calzare perfettamente a lui.
Bruno Tassi ha forse concluso infatti la serie dei “Camòs”, perché con
lui, “camoscio” per antonomasia per il suo modo di superare la verticalità
delle pareti, il termine veniva impiegato come denominazione esclusiva. Nella
“sua” falesia di Cornalba, in un angolo remoto della Val Serina, Bruno Tassi ha
inventato le più belle vie di arrampicata, aprendole con un estro e
un’arditezza sbalorditiva, diventando praticamente uno tra i più originari e
ammirati capiscuola dell’arrampicata moderna. Con il suo stile e il suo fascino
ha conquistato alla pratica dell’arrampicata uno stuolo appassionato di
giovani, che si sono distinti in seguito per le loro eccezionali qualità come
climbers e alpinisti. Grandissimo e fantasioso arrampicatore come pochi altri
in assoluto, il Camòs, scomparso in un tragico incidente stradale a soli 51
anni, dieci anni or sono, viene ricordato sotto diversi aspetti nel volume di
Lorenzo Tassi. Quello però che qui viene maggiormente raccontato di lui non è
l’aspetto del climber superlativo che ha lasciato in retaggio agli appassionati
un paradiso di vie di arrampicata: tutto ciò semmai è splendidamente
evidenziato dalle spettacolari immagini che lo ritraggono in azione su pareti
impossibili. Nel libro si parla di lui soprattutto riferendosi alle sue
controverse qualità umane che, nonostante una natura che non teneva nascosto
nessun eccesso, riusciva ad attirare immediatamente la simpatia, l’ammirazione
e l’affetto di tutti coloro che lo avvicinavano. Tutto questo viene rivelato
dal rimpianto e dal senso di vuoto che ha colpito chi lo ha conosciuto come lui
era veramente, con tante sincere testimonianze, tra le quali spiccano quelle
straordinarie di un Simone Moro, Emilio Previtali, Maurizio ‘Manolo’ Zanolla e
Mauro Corona. Ed è verosimile che lo stesso senso di vuoto potrà alla fine
coinvolgere anche il lettore che, avvicinandosi a questa storia, sarà stato
colpito da una persona che aveva grandi ideali, generoso e disinteressato,
amato nonostante un carattere deciso, forse prepotente, ma che soprattutto
arrampicava come un “Camòs”.
Renato Frigerio
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