Allestita la prima volta
a Teglio nello scorso agosto, si ripresenta a Lecco nella sala di Confcommercio
Lecco (ex palazzo Falck) di piazza Garibaldi la mostra
“Da La partenza del crociato al Prode
Anselmo.
Storia per immagini di uno scherzo fortunato”. La gestione dell’esposizione
sarà curata dagli studenti del Liceo Artistico Medardo Rosso, istituto che alla
nota ballata dedicò una sperimentazione didattica curata dalla prof. Lorena
Olivieri che lasciò sul terreno anche un filmato realizzato dalla prof. Letizia
Ronconi Negri (https://www.youtube.com/watch?v=WYKfCMePA0U),
voce recitante Gianfranco Scotti. La mostra, che ripropone
momenti significativi della storia del noto personaggio letterario, è stata curata da Bruno Ciapponi Landi, che si è avvalso dei fondi documentari
del Museo Etnografico Tiranese, della Biblioteca Civica Arcari di Tirano e
della Biblioteca Civica Uberto Pozzoli di Lecco dove è conservato un raro
annuario intitolato “Il Prodanselmo” edito a Lecco nel 1934 con disegni di
alcuni illustratori lecchesi dell’epoca. La mostra è corredata da un catalogo a
stampa
(http://www.brunociapponilandi.it/docs/ricerche/24-AGM%202017%20Mostra%20PrA%20Pannelli%20finali.pdf).
Orari:
da lunedì a giovedì 8.30-12.30/14-18; venerdì 8.30-12.30/14-16.30
In sala saranno disponibili per la consultazione:
-la cartella d’arte illustrata da Marilena
Garavatti ( http://www.museotirano.it/art/22-marilena-garavatti.html)
con i testi poetici di Umberto Eco, Giorgio Luzzi e Grytzko Mascioni sul tema
della Partenza del crociato, edita nel 2001 dal Museo Etnografico Tiranese e
dal Parco delle incisioni rupestri di Grosio in occasione dell’inaugurazione
del restauro dei castelli e del Centro di accoglienza e documentazione,
dedicata alla Regina Paola del Belgio;
-
il catalogo della mostra
“Il ritorno del Prode Anselmo”
promossa dalla Civica Biblioteca di Tirano nel 2007 e organizzata da Walter Fochesato,
uno dei massimi esperti dell’argomento, che curò anche il catalogo che
costituisce un punto avanzato della ricerca sul personaggio;
-la cartella con le otto nuove calcografie della
Garavatti ispirate alla poesia di Mascioni.
PRESENTAZIONE
DELLA MOSTRA DI ERNESTO FERRERO
La mostra Da
“La partenza del crociato” al “Prode Anselmo”, a cura di Bruno Ciapponi Landi,
ci invita a ripercorrere attraverso le immagini una storia valtellinese lunga
più di 150 anni che è presto diventata un patrimonio nazionale, ha coinvolto
letterati e artisti, ha riunito nello stesso divertimento generazioni diverse,
e continua a proporci le sue suggestioni, mettendo insieme la tradizione e lo
speciale scatto creativo, la “mossa del cavallo” che distingue le opere tanto
più gradite perché inattese e imprevedibili. Il “Prode Anselmo” è nato per caso
a Tirano, nella villa di una nobile famiglia milanese che aveva le sue radici
in valle e qui trascorreva le sue vacanze. Uno “scherzo poetico”, un poema
eroicomico che arrivava all’improvviso come una ventata d’aria fresca e con la
sua fortuna immediata aveva quasi lasciato in ombra il profilo di chi l’aveva
scritto in una sola notte, Giovanni Visconti Venosta. Ma quale miglior destino,
per un autore, che l’essere fagocitato dalla sua stessa opera e sparire in
quella, sentita e vissuta da milioni di italiani come un qualcosa che era parte
del lessico famigliare, che faceva scattare immediatamente la complicità e il
sorriso? Il Prode Anselmo, che parte animosamente per una Crociata ma poi si
perde per una candida goffaggine in cui ci sembra di riconoscere la nostra,
sembrava uscire dalle bizzarre genealogie che si tramandano in ogni famiglia,
in cui c’è sempre un parente un po’ strano di cui si tramandano le gesta
strampalate, le simpatiche matterie. La breve storia delle sue disavventure non
sembrava nemmeno il frutto felice di un singolo scrittore, ma un prodotto
collettivo, come le fiabe, come i miti, le cui radici si perdono nei secoli.
Pareva si fosse scritta da sola, impeccabile nelle cadenze, nelle allusioni,
nel garbo parodico. Uno scherzo colto che si faceva intendere da tutti,
deliziava allo stesso modo adulti e bambini. Rimandava ad eventi e contesti
favolosi, le Crociate, il Medioevo, l’Oriente che faceva sognare tanti
scrittori e pittori, stilizzandoli in caricatura bonaria. Di più: insieme a La
vispa Teresa, saltava a piè pari tutta la retorica perbenista, patriottarda e
persino militarista che funestava la letteratura per i ragazzi, ammorbata da
testi di insopportabile enfasi predicatoria, che volevano essere edificanti e
risultavano plumbei o lacrimosi. Invece “Il Prode Anselmo” si fissava senza
fatica nella memoria e non ne usciva più per il gioco irresistibile delle rime.
Non troppo diversamente i contadini toscani erano in grado di dire a memoria i
canti più famosi della Divina Commedia. “Il primo verso te lo regala Iddio, gli
altri ce li devi mettere tu”, diceva un grande poeta come Vittorio Sereni. Qui
i primi versi ce li aveva messi un ginnasiale comasco in difficoltà con i
compiti delle vacanze, ma senza saperlo aveva imboccato la strada giusta:
persino nel dichiarare “nostro” l’Anselmo, che difatti presto sarebbe diventato
di tutti. Con il suo talento di giornalista e scrittore, Visconti Venosta aveva
subito colto quella naturalezza, quella giustezza di tono. Al resto aveva
provveduto lui. Il gentiluomo valtellinese apparteneva a una tipologia allora
piuttosto diffusa, quella di una nobiltà e borghesia portatrice di una cultura
vera, sollecita e pensosa del bene collettivo, capace di servire un Paese
neonato, alle prese con enormi difficoltà, con passione civile, competenza,
disinteresse. Esemplari in questo senso anche i servigi che Emilio, fratello di
Giovanni, e già collaboratore di Cavour, ha reso come ministro degli Esteri al
nuovo stato unitario. La fortuna crescente del “Prode Anselmo” ha sollecitato una
quantità di edizioni anche non autorizzate, e ha ispirato negli anni tanti
illustratori, in competizione con il primo di loro, il bravissimo Aldo Mazza,
come ha documentato la bella mostra tiranese del 2007 curata da par suo da
Walter Fochesato. Ancora prima, nel 2001, Bruno Ciapponi Landi aveva avuto la
bella intuizione di una edizione d’arte in cui la celebre ballata veniva
reinventata da Umberto Eco, e da due illustri poeti valtellinesi, Giorgio Luzzi
e Grytzko Mascioni; e impreziosita dagli ariosi acquarelli originali di
Marilena Garavatti. Era quello un sentito omaggio a una luminosa figura di
mecenate, la marchesa Margherita Visconti Venosta, che con le sue donazioni
aveva determinato, tra l’altro, la nascita del Parco delle incisioni rupestri e
la trasformazione della villa famigliare di Grosio in museo. Con lei, l’altra
dedicataria dell’omaggio era la regina Paola dei Belgi, di cui la marchesa era
stata madrina, che proprio a Grosio era attesa. Giovanni Visconti Venosta
avrebbe sicuramente apprezzato che il suo e nostro Anselmo rivivesse in nuove
forme nei versi di Eco e dei suoi amici. Insuperato maestro di humour e di
giochi verbali, Eco tornava sorridendo ai suoi studi giovanili su quel sommo
teologo che fu Anselmo d’Aosta, e affrontava scherzosamente nientemeno che la
questione dell’esistenza di Dio, tirando in ballo Kant e Hegel. Giorgio Luzzi
registrava beffardo il compianto di un Anselmo che torna sì a casa, ma
nell’Italia del terzo millennio, per soffrire un presente degradato e corrotto
dalle multinazionali, dalla stupidità televisiva, dagli imperativi delle diete,
dalle sofisticazioni alimentari: sino a rimpiangere di non esser “morto
nell’arsura/ sotto il principe del Moro”. Grytzko Mascioni si identificava
nelle curiosità magari un po’ ingenue di un Anselmo valligiano che vuole
sperimentare, tra illusioni e immancabili delusioni, quello che nasconde al di
là dei monti, oltre i mari. Un Anselmo che non si stanca di inseguire un suo
Graal, di bere in quella “coppa senza fondo dei vaghi desideri” che “non si
riempie mai”. A distanza di anni, possiamo ritrovare proprio nelle
illustrazioni degli artisti e nelle riscritture dei tre autori il segreto di
una magia che continua a sprigionare i suoi incantamenti.
Ernesto Ferrero
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