2018-12-29

Il presepe della Chiesa parrocchiale di Pescarenico

Foto di Gianni Peverelli 

Gianfranco Colombo Il presepio è sempre stato il simbolo per eccellenza della festa religiosa del Natale. Presente in tutte o quasi le case, spesso veniva costruito anche nelle chiese o in altri ambiti parrocchiali. Anche Lecco, ovviamente, ha la sua tradizione in questo ambito, come peraltro dimostra ancora oggi la mostra in corso al Palazzo delle Paure.
Ed è nel ricordo di Angelo Sala, l’amico giornalista che ci ha lasciato esattamente cinque anni fa, che vogliamo parlare di un presepe molto particolare, che si trova nella chiesa parrocchiale di Pescarenico. Sulla sinistra della navata s’incontra un altare ligneo, con una cinquecentesca Madonna dell’Addolorata e nove composizioni in cera e cartapesta poste in cassette di vetro che narrano alcuni episodi del Vangelo, tra cui la natività e la vita dei santi Chiara e Francesco. A questo straordinario manufatto Angelo Sala aveva dedicato pagine di grande intensità. Questa rara opera è arrivata nel convento di Pescarenico da un’altra chiesa lecchese, come scrive Angelo Sala nel volume “Pescarenico e il convento di Padre Cristoforo” : «L’opera non fa parte della fabbrica originaria del convento di Pescarenico. Apparteneva, invece,  ad un’altra chiesa conventuale lecchese, quella di San Giacomo a Castello, appartenuta agli Zoccolanti. 
Questa fabbrica – definitivamente demolita nel 1937 – fu soppressa nel 1805 ed i suoi beni furono dispersi per varie chiese del Lecchese. L’altare della Vergine passò alla chiesa di Pescarenico, in quel convento francescano che, a sua volta, fu soppresso pochissimi anni dopo, precisamente nel 1810. E’ comunque a partire dalla collocazione a Pescarenico, che l’opera comincia ad attirare l’interesse di studiosi e appassionati». Fu nel 1985, anno del bicentenario della nascita di Alessandro Manzoni, che questo “altare-presepe” fu restaurato e questo permise un ulteriore approfondimento sulle origini e l’importanza artistica dell’opera.
Da questi studi è stato possibile accertare che le sculture sono realizzate a stampo, con cere colorate ma rifinite con colori a tempera. Le vesti e i panneggi sono in alcuni casi modellati, in altri sono invece in tessuto, coperto da un velo di cera. «Poi ci sono altri aspetti interessanti – scrive ancora Angelo Sala – la veste del Battista è in vera pelle animale; un autentico cordoncino lega i sai monacali di Chiara e Francesco; i fondali architettonici e paesistici sono in legno con parti modellate in cera; la paglia è impiegata per il tetto della capanna e per il giaciglio del Bambino; gli artigli del diavolo tentatore sono autentici unghioli animali». 
 Un’opera di grande artigianalità e sicuramente di origine meridionale come ha precisato Simonetta Coppa, direttrice di quei restauri: «L’impiego di materiali differenti combinati con cera policroma, la brillantezza degli accostamenti cromatici, il piglio narrativo dinamico e estroso, la ricchezza aneddotica dei molti e saporosi spunti di “genere”, trovano riscontro in cere policrome di ambito meridionale e più particolarmente napoletano del tardo Seicento e del primo Settecento, per cui è molto probabile che l’autore delle nostre “storie” sia di origine o di formazione meridionale, tanto più che è nota la produzione a Napoli di presepi in cera e di composizioni sacre a rilievo e a tutto tondo in cera racchiuse entro scarabattole lignee protette da vetri».
Come sia potuta arrivare nel Lecchese un’opera di chiaro stampo meridionale  ce lo spiega sempre Simonetta Coppa: «La provenienza da una chiesa conventuale francescana può servire a spiegare la presenza nel lecchese di un’opera tanto singolare, unica in Lombardia, per gli scambi e i rapporti intercorrenti tra comunità religiose di zone anche geograficamente lontane: ma va tenuto presente che all’epoca di esecuzione delle nostre cere lo Stato di Milano e il Vicereame di Napoli erano ancora entrambi sotto la dominazione spagnola».

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