2018-08-17

Dopo Genova, mai più chiacchiere e rimpalli di responsabilità, mai più!

Il crollo del ponte Morandi ripropone in tutta la sua drammaticità il problema della sicurezza delle infrastrutture sulla rete viabilistica nazionale e locale. Sono passati due anni e il ponte crollato sulla “36” ad Annone non è ancora stato ricostruito


di Claudio Redaelli
Il tragico crollo del ponte Morandi a Genova dello scorso 14 agosto ripropone in tutta la sua drammaticità il grave problema della sicurezza delle infrastrutture sulla rete viabilistica nazionale e locale. Iniziamo allora col dire che anche la Statale 36, che come noto attraversa per un lungo tratto il territorio lecchese, richiederebbe urgenti sopralluoghi e attente valutazioni, a partire dalle verifiche di tutti i ponti e i cavalcavia presenti sulla Lecco-Milano.

L’episodio di Genova presenta una analogia incredibile con quanto accaduto nell’autunno del 2016 proprio sulla superstrada Lecco-Milano, quando crollò il cavalcavia di Annone Brianza, uccidendo un automobilista civatese.
Crollano i ponti e le istituzioni non ci sono! O meglio, ci sono ma a giudizio di taluni giocano a scaricabarile, scaricando una addosso all’altra competenze e responsabilità.
Dopo il crollo di Annone, ad accusare gli enti a vario titolo coinvolti nel tragico crollo (di fatto l’Anas e le amministrazioni provinciali di Lecco, Como e Bergamo) è stata anche Roma, considerato che la Commissione ministeriale d’inchiesta nominata dall’allora ministro Graziano Delrio avrebbe ravvisato l’incuria più totale nei confronti del manufatto, che nel corso degli anni non avrebbe ricevuto le “cure” e le manutenzioni che gli avrebbero consentito di rimanere per così dire… in salute.
Quel ponte non avrebbe insomma potuto reggere il peso di trasporti speciali, tanto più nel momento in cui il grado di usura era diventato elevato.
Nel novembre di due anni fa la Procura della Repubblica aveva anche iscritto al registro degli indagati tre persone che si riteneva potessero avere responsabilità penali nella tragedia.
Poi le prese di posizione e le accuse si sono moltiplicate. Anche perché ancora a mesi di distanza dall’accaduto la provincia di Lecco si era trovata non con uno soltanto bensì con due cavalcavia chiusi, essendo stato nel frattempo vietato al traffico pure il cavalcavia di Isella.
Le associazioni di categoria avevano spiegato che ci si trovava in un vero e proprio stato di emergenza “che richiede decisioni veloci - avevano sottolineato ad esempio i vertici di Confindustria Lecco - e soprattutto azioni, che ancora non vediamo al di là della volontà delle singole istituzioni”.
“Una ricognizione puntuale rispetto allo stato complessivo delle infrastrutture non è più rinviabile - avevano aggiunto - ed è il primo passo per poter avviare innanzitutto gli interventi determinanti per ripristinare una normale viabilità e una strategia più completa per guardare allo sviluppo del territorio”.
Risultato: sono passati quasi due anni e il ponte di Annone non è ancora stato ricostruito.
Il Lecchese non può e non deve arrendersi, né accettare ripetuti rimpalli di responsabilità ogni qualvolta si verifica un evento cui si accompagnano disagi inaccettabili!
L’incredibile per non dire incresciosa vicenda legata al crollo del cavalcavia di Annone e la gestione quantomeno paradossale di molti ponti situati sul territorio provinciale, passando per il cantiere infinito della ciclabile Abbadia Lariana-Lecco e per lo stato di abbandono in cui si trovano vari tratti della Statale 36, rischiano seriamente di trasformare Lecco e il Lecchese in una periferia, quando invece per rimanere una terra attrattiva non soltanto per le imprese ma altresì per i turisti servirebbe un’azione decisa da parte delle istituzioni, degli amministratori pubblici, dei parlamentari e di tutti coloro che hanno un ruolo e che, soprattutto, hanno a cuore il territorio.
Ci si consenta poi di ricordare che il tratto della superstrada Milano-Lecco compreso tra Gaggio di Nibionno e Cariolo di Civate (per complessivi dieci chilometri di tracciato) venne progettato dall’amministrazione provinciale di Como sotto la presidenza del dottor Aldo Rossi, lecchese. Quell’opera trovò il consenso unanime di tutti gli schieramenti rappresentati in consiglio provinciale, nonostante qualche campanilismo dei consiglieri comaschi.
Il progetto prevedeva un costo di un miliardo di vecchie lire, con altri 200 milioni destinati a proseguire con la doppia carreggiata (a due corsie) fino a raggiungere Valmadrera e, da lì, il ponte Kennedy di Lecco.
L’inaugurazione della strada avvenne oltre 50 anni fa, quando presidente della Provincia di Como era il professor Enzo Luraschi e ingegnere capo era Emilio Corbini, uomo di grandi valori e particolarmente stimato, mentre assessore ai Lavori pubblici era il commendator Amedeo Bonomelli.
Venne costituita la Commissione lavori pubblici di cui chi scrive, all’epoca giovane consigliere provinciale, era vicepresidente. E a una seduta di quella stessa commissione venne invitato l’indimenticato ingegner Pietro Pensa, allora sindaco di Esino Lario.
La strada aveva un grande e strategico obiettivo, dovendo fare da traino allo sviluppo industriale e turistico del territorio, senza dimenticare che la futura realizzazione del traforo del Monte Barro e la costruzione della Statale 36 Lecco-Colico (inaugurata nel gennaio 1985 alla vigilia dei Mondiali di sci alpino di Bormio e Santa Caterina Valfurva) avrebbe creato una rete di collegamento con la Valtellina, la Valchiavenna e la vicina Svizzera.
Unitamente alla superstrada Milano-Lecco (che guardava anche all’esigenza di garantire adeguati collegamenti autostradali con Sesto San Giovanni e con la Bergamo-Venezia, oltre che con altre città) erano stati attentamente studiati pure gli innesti con le decine di comuni attraversati dalla strada.
Dietrologie a parte (e non prima di aver ricordato che su simili tematiche una voce autorevole sarebbe certamente quella dell’ingegner Giorgio Mazza, che ricoprì incarichi tecnici di responsabilità dapprima in Provincia a Como e in seguito a Lecco), dopo quanto accaduto la vigilia di Ferragosto a Genova occorre guardare alla non più rinviabile ricostruzione del ponte di Annone e alla verifica dello “stato di salute” di tutti i “nostri” cavalcavia.

Ma qualcuno ci dirà ancora una volta che i soldi non ci sono. E noi torneremo ad arrabbiarci. E, con noi, tutti i cittadini onesti, che giustamente pretendono di viaggiare e di spostarsi da una città all’altra (magari per ragioni di lavoro) in condizioni di assoluta sicurezza.

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