2020-05-03

INDAGINE SULL’ARABA FENICE DELLA PSICHIATRIA ILLUSTRATA DAL DOTTOR NATALE GUIDOTTI

di Germana Marini Rinverdire la memoria di chi ha vissuto la realtà di un servizio, sotto ogni aspetto eccellente: quello elargito dall’Ospedale lecchese di via Ghislanzoni, nel corso di oltre dieci intensi anni, compresi tra il 1989 e il 2000, e ragguagliare nel contempo le nuove generazioni in merito alla partecipazione dei medici a stage propedeutici all’accrescimento delle acquisizioni scientifiche, messe a frutto all’interno del contesto ospedaliero stesso: ecco le finalità di questo mio revival.

Il raccogliere in una pubblicazione unitaria, edita dall’Editrice C.B.R.S., una nutritissima serie d’interviste ai primari di ogni singola Divisione del presidio cittadino, da me effettuate in un lungo “Viaggio nel pianeta sanità”, mensilmente apparse sul periodico nazionale “il Punto Stampa”, si deve alla lungimiranza del direttore Claudio Redaelli, Consigliere dell’Ospedale provinciale di Lecco dal 1965 al 1981, e Vicepresidente dal 1975 al 1981,  succeduto al dott. Aldo Rossi, all’On. Vittorio Calvetti e al dott. Salvatore Bonalumi.
Pubblicazione dalla tiratura di 300 copie, in men che non si dica esaurite.
<< Questa singolare iniziativa >>, ebbe a dichiarare Redaelli, << posta in essere grazie alla preziosa collaborazione della giornalista Germana Marini e alla cortese disponibilità degli operatori sanitari, è di enorme rilievo, in quanto l’Ospedale rappresenta un’autentica risorsa, un fiore all’occhiello per Lecco, apprezzato com’è in ambito europeo, al punto che da ogni parte giungono qui per affidarsi a mani provatamente esperte >>. Aggiungendo: <<Posso ben dire che le articolate interviste della Marini rimarranno ad esempio di un  servizio giornalistico esclusivo, reso possibile dal lodevole impegno professionale, sia di chi le ha curate, che di chi ne è stato protagonista. Mi corre quindi l’obbligo di ringraziare sentitamente, non gli specialisti soltanto, bensì il personale infermieristico, paramedico, ausiliario, i tecnici,  le 75 operose, infaticabili suore all’interno del collegiato e tutti coloro che si sono prodigati al fine  di dar lustro a questa privilegiata
struttura >>.



Informiamo i lettori che, a seguito dell’intervista al primario di Psichiatria
dell’Ospedale lecchese, dottor Natale Guidotti, nelle prossime puntate sarà da me trattata una parziale serie di “disagi psicologici”, i cui relativi quesiti porrò al dottore suddetto.
“Tra le turbe di carattere psicotico, la schizofrenia, definita “l’Araba Fenice della psichiatria”, detiene senza dubbio il primato, trattandosi di una patologia dalle
connotazioni enigmatiche, che oggi come ieri costituisce il problema più intrigante
per gli specialisti del settore. Ciò per il fatto che, a dispetto di approfonditi studi condotti, del “vissuto” schizofrenico si conosce ancora pochissimo, rappresentando un’esperienza sconvolgente tale, da innalzare tra le sue vittime e noi un’invalicabile barriera. Ma ci spiega, dottore, qual è lo spartiacque che divide
le malattie nervose da quelle cosiddette psicotiche?”.
“E’ questa una distinzione classica, utile soprattutto a scopo didattico. Lo spartiacque, come giustamente lo definisce, è dato dalla consapevolezza , o coscienza, di ciò che accade. Si dice che mentre il nevrotico è consapevole di quello
che prova e non riesce a controllare, lo psicotico non lo è affatto, o, se aiutato, può
rivelare una certa presa di coscienza, ma è altrettanto vero che un paziente in preda ad una crisi di delirio acuto smarrisce la serenità di giudizio, fino a scambiare le sue paure per una situazione massimamente pericolosa e deleteria. Perde cioè
di vista i parametri della realtà, e viene sopraffatto dai propri timori. Dai propri fantasmi”.
“ Tipiche sono appunto le allucinazioni indotte dalla schizofrenia. Ma intorno a quale età esordisce, e da che fattori è influenzata? In particolare condivide, dottore, l’affermazione di alcuni, secondo i quali la società moderna sarebbe una “società schizofrenica”, mentre in società più arcaiche, come quelle rurali, un minor numero di persone veniva colpito? O non si tratta piuttosto che un tempo c’era maggior possibilità di eludere i contatti, così che certe stranezze venivano ignorate, o tollerate meglio di quanto avvenga nella moderna civiltà industriale, che non consente ad alcuno di “uscire dalle file”?...”.
“Secondo la curva della distribuzione dei casi, la massima parte degli esordi schizofrenici si concentra tra i 18 e i 25 anni. Proprio l’insorgenza per lo più giovanile preoccupa tanto gli psichiatri, e allo stesso tempo li affascina. Reputo che quasi tutti siamo diventati psichiatri, attirati proprio da quest’Araba Fenice, nel tentativo d’indagare una malattia così misteriosa. Dai documenti storici che ci sono stati tramandati, la troviamo con le stesse caratteristiche presso tutti i popoli e le culture: tra i selvaggi dell’Australia, come nelle popolazioni più evolute e moderne. Non è quindi una malattia della civiltà, o legata ad un certo sviluppo socio-culturale. Diciamo che questa, che è un po’ lo “zoccolo duro” della patologia psichiatrica, è anche quella sulla quale si è costruita una grande parte della psichiatria, nel senso teorico del termine”.
“In pratica lo schizofrenico rappresenta la dimostrazione lampante di cosa sarebbe ciascuno di noi, in balia del puro istinto, di impulsi primitivi non soggetti a quel giudizio superiore, che fa dell’essere biologico un uomo. Ma a quest’inquietante “anarchia dello spirito”, al frantumarsi della costruzione unitaria della personalità, anticamente si dava una denominazione diversa. Non si parlava di schizofrenia, bensì di “demenza precoce”…”.
“Infatti. Dagli studi di Craepelin, che l’aveva battezzata demenza precoce, avendo notato che poteva condurre ad un grave decadimento e appiattimento mentale, parecchia acqua è passata sotto i ponti. Oggi una simile definizione non è più accettabile, ma obiettivamente non è  che fosse priva di fondamento”.
“Sappiamo che esistono diverse forme di schizofrenia. Allo stato attuale con quali vi trovate a destreggiarvi?”.
“La vecchia “catatonia” descritta da Craepelin, una manifestazione di tipo catalettico, che immobilizzava le persone anche per mesi, oggi è praticamente scomparsa. La forma che ai nostri giorni prevale è quella “paranoidea”, o “delirante”. Va specificato che nella schizofrenia coesistono due sintomi classici, costituiti dalle allucinazioni e dai deliri. Le prime possono definirsi “percezioni senza oggetto”, nel senso che uno ha l’impressione di vedere cose inesistenti, come un nemico che lo insegue, oppure nel silenzio assoluto sente delle voci di persecutori che lo minacciano. Le allucinazioni possono colpire tutti i sensi, ma a comparire sono soprattutto quelle uditive e visive. Si capisce bene come, perduto il contatto col reale e totalmente assorbito da questo suo mondo delirante, il paziente soffra”.
“Possiamo affermare che alcuni terreni costituzionali siano predisposti alla malattia? Che ruolo gioca l’ereditarietà, e quale importanza rivestono le esperienze infantili?”.
“Benché gli studi sull’ereditarietà ci forniscano indicazioni preziose, non sarebbe saggio applicare rigidamente una teoria ereditaria. Circa poi le esperienze infantili esistono teorie psicologiche che dimostrano come un disturbo della comunicazione familiare sia determinante quale premessa della patologia. Tanto è vero che vi sono terapie basate sul ritorno corretto ad una comunicazione all’interno della famiglia, rimpostando i vari messaggi”.
“E’ provato che gli psicofarmaci da soli non risolvono, anche se l’ammalato deve seguire per anni una terapia antipsicotica neurolettica. Una strategia più efficace sembra essere quella di “farsi amico il paziente, entrando nel suo delirio”. Ce ne parla?”.
“Bisogna sapere che il delirante è quasi sempre un soggetto dotato di spiccata intelligenza, in grado di tener testa a qualunque psichiatra. Ragion per cui smontare la sua costruzione mentale sui generis, è terribilmente arduo. Occorre, come ha detto, che lo specialista se lo faccia amico, ispirandogli la fiducia necessaria a far crollare la sua costruzione fasulla”.
“ Ci pare di capire che una, seppur limitata, speranza di remissione di quest’arcana patologia sussista…”.
“ Diciamo che tutti i disagi ad essa connessi possono essere, oggi, validamente affrontati, o mantenuti in stato di compenso. L’unica malattia mentale incurabile è quella di cui non si ha coscienza, o laddove la famiglia, anziché mostrare un atteggiamento improntato alla disponibilità, neghi ostinatamente il problema. Ma per fortuna la mentalità della popolazione al proposito sta, pian piano, mutando”.

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