2019-09-15

Gestione delle condotte aggressive e violente e strategie di de-escalation

Su 5066 infermieri (indagine condotta dal Centro Studi NurSind, il sindacato delle professioni infermieristiche) il 61,1% è stato aggredito o minacciato dagli utenti (dato relativo al 2017), il 37,7% ha assistito ad un episodio di aggressione o minaccia (nel 2013 le percentuali erano rispettivamente il 55,4% e il 33,1%).
Quanto ai medici il sondaggio nazionale condotto da Anaao Assomed (l'associazione dei medici dirigenti) su 1280 medici di tutte le specialità, il 65% è stato vittima di aggressione (di cui per il 66% verbali e per il 34% fisiche). E ancora l'80% dei medici del pronto soccorso ha subito aggressioni; sul fronte delle aggressioni fisiche i più esposti sono i medici dei servizi psichiatrici e per le dipendenze. Sono alcuni dei dati presentati in questi giorni dal professor Andreas Conca, responsabile del servizio psichiatrico di Bolzano e docente di psichiatria all'Università di Innsbruck, in occasione del corso "Gestione delle condotte aggressive e violente. Strategie di de-escalation" promosso dalla struttura dell'Asst Lariana Miglioramento qualità e Risk Management, diretto dalla dottoressa Anna Sannino, in collaborazione con il dipartimento di Salute Mentale e Dipendenze, diretto dal dottor Carlo Fraticelli.
Il corso ha visto la partecipazione di infermieri e medici dell'Asst Lariana (pronto soccorso e psichiatria soprattutto), della vigilanza interna dell'Asst Lariana e di agenti della Questura di Como. Ad una parte teroica sono seguite discussioni di gruppo, confronti, trasmissione delle esperienze e addestramento.
"Alla base della rabbia sono identificati tre fattori principali - osserva il dottor Conca - l'attribuzione ad altri della responsabilità delle nostre frustrazioni o disagi, il fatto che la situazione fosse del tutto evitabile, che non sia evidente una motivazione valida per il comportamento che ci ha colpito o danneggiato".
I motivi alla base delle aggressioni, escluso quello "predatorio", possono essere di tipo sociale (per ottenere rispetto, il riconoscimento dello status…), di tipo espressivo (sono il segnale di paura, sofferenza, frustrazioni) oppure possono essere legati a fattori organici (patologie cerebrali, de-intossicazione da sostanze e/o alcol). L'aggressività può anche essere un modo, scorretto, per attirare l'attenzione su di se e manifestare la paura di non essere visti e di essere esclusi. "Si parla di violenza - prosegue Conca - ogni volta che una persona diventa vittima ossia quando le viene impedito di vivere in base ai propri desideri e bisogni, temporaneamente o in modo permanente". Tra le condizioni e le situazioni a rischio per comportamenti aggressivi e di violenza, compaiono l'ansia e la frustrazione legata all'attesa e la sensazione di non essere ascoltato, la sensazione d'impotenza e la paura. Patologie psichiatriche e fisiche, traumi, patologie cerebrali, intossicazioni da alcol, droghe, effetti collaterali dei farmaci. "Essere consapevoli dei rischi connessi all'ambiente e alle persone permette già di prevenire ed evitare situazioni a rischio. Non bisogna poi trascurare tutto ciò che rientra nella cosiddetta comunicazione interpersonale come i gesti, lo sguardo, il tono di voce. Le componenti non verbali, infatti, possono rafforzare, integrare o contraddire quello che abbiamo espresso a parole". 
Sulla base della teoria delle "quattro orecchie", è stato quindi sottolineato come un atteggiamento professionale utilizzi prevalentemente l'orecchio dell'io che non raccoglie le provocazioni, cerca di capire cosa stia alla base dell'aggressività, mantiene un atteggiamento empatico, non viene colpito nella propria autostima, non si sente offeso dai comportamenti aggressivi. E come interrompere la spirale dell'aggressività? "La spirale - spiega Conca - si può interrompere solo se uno dei due smette di difendersi e di contro-attaccare, coinvolgendo l'altro in un dialogo, cercando di comprenderne le emozioni e i bisogni". Anche di fronte ad una provocazione bisogna utilizzare il dialogo, per cercare di creare una relazione, fondata sullo scambio e sulla collaborazione". Ci sono dei segnali fisici che "preannunciano" l'agitazione? Rossore o pallore, respiro superficiale, tremori, impossibilità a stare fermo, sudorazione, gesti minacciosi, sguardo fisso o perso nel vuoto, riduzione della distanza fisica, tono di voce alto. Il personale medico come può rispondere a tali segnali? "Chiedendo aiuto e informando i colleghi - ricorda Conca - allontanando altri pazienti o curiosi, orientando il colloquio in uno spazio favorevole, eliminando eventuali oggetti pericolosi presenti e ricordandosi sempre di non raccogliere le provocazioni". 
Quanto alla de-escalation, il cui obiettivo è diminuire l'intensità della tensione e dell'aggressività, si tratta di una tecnica che prevede cinque passi: approcciare, mettersi a disposizione, approfondire, trattare, trovare un accordo.
In chiusura dell'incontro si è fatto riferimento alla "resilienza", ossia alla capacità di fare fronte in maniera positiva ad eventi traumatici e di ricostruirsi restando sensibili alle opportunità positive che la vita offre, senza perdere la propria umanità e non sono mancati i riferimenti alla gestione dello stress. Fare attività fisica, almeno mezz'ora al giorno, rispettare le ore di sonno, mangiare regolarmente, bere acqua in abbondanza, fare esercizi di respirazione e rilassamento muscolare, evitare alcool, caffeina, nicotina, socializzare, ritagliarsi dei momenti per se, prendersi cura di se sono alcuni dei consigli indicati.

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