2019-06-21

“Evviva la sposa! Il matrimonio in Brianza e in altri contesti”

Gianfranco Colombo - Al Museo Etnografico dell’Alta Brianza, a Camporeso di Galbiate, si può viistare la mostra “Evviva la sposa! Il matrimonio in Brianza e in altri contesti”, che è accompagnata dal volume omonimo scritto da Rosalba Negri.
E’ lei stessa, insieme a Massimo Pirovano, direttore del Meab, ad aver curato la mostra. Il volume e la conseguente esposizione sono il risultato di una ricerca che è durata diversi anni e che si è basata soprattutto su fonti orali. Il matrimonio di cui si parla è quello che avveniva tra la fine dell’Ottocento ed i primi anni Settanta, dunque in un periodo pre divorzio, legge che in Italia fu introdotta il 1° dicembre 1970. «Il matrimonio ha subito grandi trasformazioni soprattutto nel Nord Italia. – ci dice Rosalba Negri - Oggi rispetto al periodo che abbiamo considerato è tutto cambiato. La convivenza, per esempio, non fa più scandalo. Anche per questo abbiamo intervistato delle coppie giovani, giusto per capire come è considerato oggi il rapporto a due. Detto questo, bisogna anche dire che storicamente parlando quello che accade oggi non è una novità assoluta. Prima della Controriforma, avvenuta dopo il Concilio di Trento (1545-1563),  c’era l’Istituto sponsali che non escludeva la convivenza e il matrimonio non sempre avveniva in chiesa. Dopo il Concilio di Trento, invece, il matrimonio doveva essere celebrato nella parrocchia della sposa ed era governato dalla morale sessuale cattolica». In questo contesto è molto interessante indagare il ruolo delle donne: «Sino al secondo dopoguerra fu la tradizione cattolica a dominare. Le donne, per esempio, dovevano sposarsi, perché in caso contrario erano pochissimo considerate.
C’era una discriminazione sociale evidente; basti pensare al termine “zitella”, che indicava la donna non sposata e che era dichiaratamente dispregiativo. Non così accadeva per gli uomini. Quelli che non si sposavano erano gli scapoli e l’appellativo era tutt’altro che negativo. Anzi, lo scapolo spesso contraddistingueva una sorta di dongiovanni che nel maschilismo imperante era visto addirittura con ammirazione. Aggiungo ancora che fino al secondo dopoguerra l’obbligo di portare la fede riguardava solo le spose». Altro particolare non da poco era il modo in cui erano organizzati i matrimoni. Spesso, infatti, erano le famiglie dei due futuri sposi a deciderlo: «Di fronte ad un matrimonio “combinato” le ragazze potevano dire di no, ma il ruolo delle famiglie era molto invasivo e poi c’erano i sensali, che cercavano di convincere i due interessanti a convolare all’altare. Quando si arrivava al fidanzamento va detto che i due futuri sposi erano marcati a vista e le loro frequentazioni erano limitatissime. In sintesi, dunque, non si potevano conoscere, era tutto molto complicato». Quello che si voleva evitare, ovviamente, era che la sposa restasse incinta: «In quegli anni se una ragazza aspettava un bambino prima di sposarsi era una tragedia. Spesso la giovane veniva allontana dal paese durante la gravidanza ed il matrimonio riparatore avveniva o alle cinque di mattina o addirittura in un altro paese. Ancora una volta ad essere giudicate malissimo erano solo le donne e non gli uomini». Un altro “classico”, legato al matrimonio è il viaggio di nozze, che nella Brianza rurale era ben diverso da quello dei nostri giorni: «Spesso per “viaggio di nozze” si intendeva una passeggiata a piedi o in bicicletta. Nel 1949, per esempio, Antonio Brambilla e sua moglie andarono in bicicletta da Dolzago a Malgrate, sul lago».
Anche il pranzo è sempre stato un momento topico: «A seconda della classe sociale, il pranzo avveniva, fino agli anni Cinquanta, in casa dello sposo o in trattoria. Gli invitati rimanevano a pranzo e a cena e nel pomeriggio si svolgeva una gita a piedi o in corriera, che aveva come meta un santuario o un luogo sacro». Un ultimo accenno, infine, all’abito della sposa: «Il fatto che la sposa si rechi all’altare in abito bianco è un’acquisizione relativamente recente. Negli anni Venti le ragazze si sposavano addirittura in abito nero. Mi piace inoltre ricordare che per tradizione i due neosposi si recavano sempre al cimitero per omaggiare i parenti defunti». La mostra si può visitare negli orari di apertura del museo: martedì, mercoledì, venerdì 9-12.30 sabato e domenica 9-12.30 e 14- 18.

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