2019-05-01

GABRIELE INVERNIZZI: PARTIGIANO, SINDACALISTA, DEPUTATO E VICESINDACO DI LECCO

                                   
Settembre 1950. Gabriele Invernizzi parla a Gussola (CR)


ENRICO MAGNI - Gabriele Invernizzi è nato a Lecco il 17 agosto 1913 nel quartiere di Pescarenico, dove diede vita in via Previati al primo Comitato Nazionale di Liberazione. È stato il primo segretario della Camera del Lavoro di Lecco e dal '50 al 56 di Como; dal 1945 al 1948 è stato vicesindaco nella giunta Mauri e nel '48 è stato eletto deputato per tre legislature. Figura di spicco troppo dimenticata dalla città di Lecco. Gabriele Invernizzi è stato importante per la resistenza e per il mondo del lavoro.


Gabriele Invernizzi: «Ho ancora vivo il ricordo di mio padre che una sera, dopo cena, si buttò il mantello sulle spalle e ci salutò dandoci un bacio: un gesto per lui inconsueto e non certo in uso fra gli operai. Solo molti anni dopo mia madre me ne spiegò il significato: avrebbe potuto esse­re una separazione definitiva e quella giornata, forse, l'avremmo trovata sui libri di storia; ma non fu così.
Eranogiorni nei quali il Partito Socialista Italiano, nelle cui fila mio padre militava, pensava alla possibi­lità di una insurrezione generale ed era giunta, alle sedi periferiche, la disposizione di prepararsi alla mobilita­zione fissata per un certo giorno e per una certa ora. L'ordine fu disatteso e i socialisti rimasero al caldo
nelle loro case….»


Nell'ambito della lotta clandestina che ruolo ha avuto? Come ha ini­ziato l'opposizione al fascismo? Nel 1932hoaderito a soli 19 anni al Partito Comunista. In montagna frequentavo una compagnia di scalatori comuni­sti legati a un gruppo di Milano e sono rimasto con loro fino al 1942, la nostra attività era di distribuzione la stampa clandestina. Nel 1942 sono diventato il responsabile del Partito Comunista di Lecco e circondario, cioè la zona che è diventata provincia e quella di Sondrio. La provincia di Sondrio mi è stata assegnata per­ché come dirigente d'azienda e la rappresentavo la Confcommercio in Valtellina.
Che azienda era? Era la prima vetreria comasca a Lecco che lavorava gli specchi. Ero l'unico chimico che conosceva l'intero processo della lavora­zione dei cristalli. Dato che andavo spesso in Valtellina per ragioni com­merciali, mi conferirono l'incarico di ricostruire il partito in Valtellina, perché non c'era più nessuna organizzazione. A Lecco, invece, il partito esisteva, ma dipendeva dalla federazione clandestina di Bergamo. Nel '42, quando mi èstata assegnata la responsabilità del partito, ci siamo staccati da Bergamo e abbiamo ricostituito la federazione del Partito Comunista clandestino: a Como non esisteva l'organizzazione.
Come mai il PCI lecchese dipendeva dalla federazione di Bergamo? ABergamo c'era un'organizzazione che si diramava in tutta la provincia con un segretario e alcuni dirigenti di federazione. A Lecco esistevano soltanto diverse cellule di partito negli stabilimenti, ma mancava il nucleo centrale, per questo Lecco dipendeva da Bergamo. Quando mi è stata assegnata la responsabilità del partito, ci staccammo da Bergamo e organizzammo la federazione di Lecco con l’annessione di Sondrio, dove bisogna va ricostruire il partito.
L'8 settembre del 1943 ero responsabile del partito. Nella storia di Lecco c'è unaltro Invernizzi, che va ricordato; parlò la sera dell’8 settem­bre in piazza sul viale della Canottieri di Lecco. Non parlo di Valentino Invernizzi, che mi risulta che non fosse iscritto nel '42- '43 al partito, ma di Gaetano Invernizzi, marito di Francesca Ciceri, che aveva fatto dieci o dodici anni di galera. L'avevano mandato in esilio, poi, rientrato clandestinamente fu incarcerato; alla fine d'ago­sto era uscito dal carcere. La sera dell’8 settembre ha parlato Gaetano Invernizzi.
Chi erano i componenti di questo primo CLN? Il primo CLN di Lecco, e questa è la verità assoluta, era composto da me ... Io avevo chiesto a Celestino Ferrario, diventato poi onorevole, che mi era noto come antifascista, di rappresentare la Democrazia Cristiana; mi ha detto di no, perché era troppo conosciuto. In quel periodo nel Par­tito Comunista militava don Giovanni Ticozzi, preside del ginnasio del liceo classico di Lecco. Sono andato da lui, che abitava a Pescarenico come me, e gli ho detto: «Senti, don Giovanni, io ho bisogno di un de­mocristiano da mettere nel CLN e ho pensato a te». Lui ha accettato.
Sapeva chedon Ticozzi fosse comunista? Certo, ma all'epoca l'organizzazione comunista era clandestina, perciò nessuno sapeva chi erano i comunisti. Ho chiesto anche a Giuseppe Mauri, che poi è stato il primo sindaco di Lecco, di rappresentare i socialisti, ma mi ha risposto negativamente, con la scusa di essere troppo conosciuto. Indubbiamente Mauri era mol­to noto come antifascista. Ho sempre creduto che in quel momento ci fosse anche un "filo" di paura che potesse anche essere giustificata. Nel CLN ho messo l'avvocato Lanfranconi per il Partito Socialista e Giu­seppe Gasparotto per il PRI che aveva l'agenzia generale d'assicura­zione in Piazza Mazzini a Lecco del Partito Repubblicano. Il primo CLN era composto da 4 persone e si èriunito per la prima volta nella lavanderia della casa pa­triarcale di Pescarenico bombardata durante la guerra risorgimentale, la casa "Isella", ora sede del circolo delle ACLI. Dopo il matrimonio, io abitavo lì: nel mio orto c'era la lavanderia della vecchia casa patriarcale. Lì ci siamo riuniti per la prima volta. Nella biblioteca di Lecco può trovare su Il Giornale di Lecco un artico­lo scritto da me dopo la Liberazione intitolato; "Carbonai e carbonaia". L'organo di stampa del Partito Comunista nasce dopo il '45, La Voce di Lecco.
Era l'organo del Comitato di Liberazione Nazionale? Sì, era diretto dal dottor Fumagalli di Arosio, che si era poi trasferito a Lecco. Comunque io ho diretto il CLN di Lecco fino al 24 di gennaio del ‘44.
Ma torniamo indietro un passo. Il 16 ottobre, quando gli alpini bavaresi attaccarono ilResegone per distruggere le formazioni partigiane, alcuni partigiani si spostarono nella bergamasca e a Santa Brigida: undici furono arrestati e dieci fucilati.
Dalla direzione del PCI seppi che soltanto uno fu risparmiato; di questo si sapeva soltanto che era di Lecco ma non si conosceva il nome. Pochi giorni dopo il superstite si presentò a Lecco; conosceva solo Pierino Vitali che era il responsabile del partito prima di me, abitava a Ca­stello. Vitali commise un grosso errore; lo portò da me, che allora dirigevo la vetreria Todeschini-Barozzi in Piazza Muzzi a Lecco (oggi Piazza Salvator Sassi). Che cosa dovevo fare? Il superstite mi disse che voleva andare in montagna; lo portai dai miei per farlo mangiare. I miei genitori abitavano a Pescarenico nelle case popolari. Dopo aver mangiato, sono andato a prelevarlo in bicicletta, lo portai a Garlate lasciandolo a un angolo della strada dicendogli: «Stai qui ad aspettarmi. io vado prendere il cugino di mia moglie, Carlo Manzocchi di Garlate, che fa la staffetta». Quando uscimmo dal cortile, un cortile di tipo contadino, lo trovammo presso il cancello. Il fatto che lui non fosse rimasto all'angolo della strada, dove gli avevo detto di aspettarmi, mi insospettì. 
Dopo la disfatta di Erna avevamo un distaccamento sui Corni di Canzo e uno a San Genesio. Dissi a Manzocchi di condurlo a San Genesio e di riferire al comandante del distaccamento, un certo Angelo Chiesa di Milano, di sparargli anche alle spalle, se si fosse allon­tanato, giacché era chiaro il motivo per cui era stato risparmiato. Il sopravvissuto era Invernizzi Cesarino figlio di una vedova che aveva un piccolo negozio di generi alimentari in Via Nazario Sauro a Lecco. 
San Genesio il Manzocchi trasmise la mia missiva, ma quell'uomo convinse i partigiani a lasciarlo andare e a prendere le armi. Pochi giorni dopo Cesarino Invernizzi si presentò con le SS a Lecco davanti alla vetreria, dove lavoravo, stavano appostati in cer­chio con i fucili mitragliatori; sui gradini della stazio­ne di Lecco avevano arrestato Abele Saba, pittore e poeta che lavorava con noi e un paio di altre persone.
Con Corrado De Vita, che era ispettore militare a Lecco, eravamo usciti per caso dall'officina, eravamo andati nel caffè di fianco, quando uscimmo vedemmo i militari tedeschi intorno alla porta dell'officina. I militari sapevano che l'officina non aveva altre vie di uscita oltre alla porta di ingresso. Ce ne andammo dalla porta che dava sul cortile di Piazza Muzzi e raggiungemmo Via Carlo Cattaneo. Ero cresciuto da quelle parti cono­scevo tutti i passaggi. Corrado De Vita ed io, divenuto poi direttore di Milano sera e in seguito degli Editori Riuniti, ci separammo, dandoci appuntamento a Milano ai recapiti che conoscevamo. Dal '24 di gennaio del '44 persitutti i contatti con Lecco.
I membri del CLN non sono stati presi? No, nessuno del CLN. Io fui sostituito da Gino Lui, comunista, ma che oggi è ricordato come socialista, perché dopo la Liberazione passò al Partito Socialista; molti erano nell'organizzazione comunista perché non c'erano altre: intendiamoci, questo è un merito per il PCI!
A Milano, dopo circa otto giorni, fui destinato a Brescia per svolgere un’attività militare nell'ambito della Resistenza. Quando scendiamo dal treno a Brescia, quello che mi accompagna mi disse:


                                
                                   1° maggio 1947Gabriele Invernizzi parla ai lavoratori di Maggianico

:
 «Qui non ci sono più molti partigiani». Brescia c'erano quasi tutti i ministe­ri e tutta la polizia della Repubblica di Salò che prima era a Roma. Mi dice inoltre: «Ci sono solo 5 partigiani. Nel partito si sono infiltrati elementi fascisti. Quello è il castello dove giornalmente fucilano e tortu­rano i nostri compagni». Io allora ho detto al mio compagno: «Senti, andiamo a prendere il treno e torniamo a casa». Invece sono rimasto a Brescia con l’incarico di comandante partigiano..
Resto a Brescia e formo due tra le più belle brigate Garibaldi: la 54 e la 122. Stavo costituendo la terza brigata in Val Trompia ma, pro­prio mentre vado in brigata, la mia guida mi fa passare da un distacca­mento, dov'erano imprigionati due carabinieri della Guardia Nazionale. Neanche a farlo apposta, nel pomeriggio avviene un rastrellamento e i due carabinieri riescono a scappare. Veniamo subito informati che uno dei carabinieri aveva comunicato tutte le informazioni riguardanti il mio aspet­to, perché ero il comandante provinciale e lo sapevano bene anche gli uomini di quel distaccamento.
Mi facevo chiamare Pietro. Dopo quel fatto l'organizzazione di Milano mi fece entrare nella delegazione-comando, nel comando delle brigate Garibaldi della Lombardia.
Dal settembre dell’44, ho fatto parte del comando delle brigate Garibaldi della Lombardia fino alla Liberazione. Avevo sotto il mio comando Brescia, Bergamo e Mantova, in realtà non comandavo, ricevevo gli ispettori o i comandanti militari delle province, riferivo quello che si doveva fare in base alle direttive superiori. Nel frattempo si stava ten­tando di organizzare i primi comandi unificati tra Fiamme Verdi, Giusti­zia e Libertà, Matteotti, Brigate Garibaldi, Brigate di Dio: si tentava di formare un organismo unitario. E siccome a Bergamo, dove io ero già andato un paio di volte, eravamo a buon punto ...
Nell'aprile del '45 era a Bergamo? Sì. Il 27 mattina entrai a Bergamo, da Borgo Palazzo, comandando la colonna di partigiani delle diverse formazioni. Eravamo divisi in 3 co­lonne perché a Bergamo i Tedeschi si erano arresi, ma erano ben 5.000 e quindi temevamo che ci fosse un ritorno di fiamma. Questa è la lotta partigiana.
Poi sono ritornato a Lecco. Prima ho lavorato per qualche mese nella federazione del partito di Lecco, come responsabile, ma ad agosto sono passato alla C.d.L., perché solo in agosto alla C.d.L. di Lecco viene costituita una segreteria efficiente. La C.d.L. cli Lecco era stata occupata da Attilio Magni e da Castagna (Gavin) il 26 o il 27 di aprile.
Attilio Magni era comunista? Sì. Con Bruno Brambilla è stato uno dei fondatori del PCI al Congresso di Livorno del 1921 e della sezione lecchese del PCI. In settembre quando la Repubblica di Salò ordina la costituzione delle commissioni interne, allora non si poteva telefonare, bisognava assu­mersi le proprie responsabilità, come responsabile del partito a Lecco, diedi l'ordine di non entrare assolutamente nelle Commissioni Interne. Verso la fine di settembre arriva quest’ordine riguardo alle Commissioni Interne.
All'inizio bisognava costituire le C.l., invecedopo l’Armistizioil par­tito diede la direttiva di scioglierle? No. Prima dell'8 settembre c'erano le cellule clandestine in fabbrica, ma non c'erano Commissioni Interne. La Repubblica di Salò, che si presentava come Repubblica sociale per distinguersi dal fascio e per di­mostrare che andava verso gli operai, concede di costituire le Commis­sioni Interne come avveniva prima del fascismo. Ordinai all'organiz­zazione dei responsabili dei settori di Pescarenico, S. Giovanni, Castello, Laorca, Germanedo, Acquate di non entrare nelle Commissioni Interne.
Attilio Magni era il responsabile del settore di Pescarenico, dove c’erano l’Arlcnico, la ferriera Gerosa, la Metalgraf, tutte grosse fabbriche. Attilio Magni abitava al primo piano ed io, con i miei genitori, al piano sottostante. Magni parlava spesso con me e cercò in quell'occasione di spiegarmi l'errore che commettevo; secondo lui il PCI non doveva mai staccarsi dalle masse e in questo caso doveva entrare nelle Commissioni Interne. Io lo ascoltai. Per me e mia sorella Attilio Magni è stato un maestro durante il fascismo, salivamo sovente da lui a sentire radio Lon­dra prima ancora dell'8 settembre e a discutere del periodo prefascista. 
Io, sono figlio di un socialista della corrente rivoluziona­ria; mio padre è stato arrestato 3 volte. Ascoltai Magni ma alla fine gli dissi: «Senti Attilio, può darsi che io sbagli, ma mi assumo le mie re­sponsabilità. L'ordine resta uno: non si entra nelle Commissioni Inter­ne».
Lui invece all’Arlenico e alla Gerosa convinse i lavoratori a entrare nel­le C.l; alla Metalgraf non riuscì perché mia sorella era capocellula e conosceva le mie direttive. E’ per questa ragione che Magni fu espulso dal partito nel settembre del '43.
Nel 1942 Bruno Brambilla, Francesca Ciceri e Paolo Milani mi hanno nominato responsabile del PCI. Mio padre mi ha dato gli ideali del so­cialismo, ma ho imparato la dottrina marxista da Paolo Milani di Pescarenico, un operaio della Badoni che considero il mio maestro.
In tre abbiamo costituito la segreteria: l'anziano Flavio Albizzati di Mi­lano - era già un sindacalista della FIOM nel periodo prefascista a Lecco - per i socialisti, l'avvocato Pasquale Valsecchi per i democristia­ni ed io per il partito comunista.
Che cosa ricorda della scissione sindacale? Nel marzo '48 facciamo il congresso. La C.d.L. di Lecco era l'unica che aveva organizza­to il congresso con i certificati elettorali, chi votava doveva avere il certificato elettorale. Mi accorsi che stavano distribuendo un sacco di tessere ai tessili, allora vado a Milano alla C.d.L. regionale e domandai cosa fare, mi dissero di lasciare perdere. A Lecco quel­l'anno tantissimi votarono per i tessili; quando andai a Milano erano 10.000, alla fine furono 12.000; così democristiani vinsero le elezioni. Attenendomi alla tradizione convocai il direttivo e rassegnai le dimissioni e invitai la cor­rente della DC a presentare il nome del suo candidato a segretariodella C.d.L. La cosa buffa è che Bonfanti intervenne e disse: «Noi riconfermiamo Gabriele Invernizzi».



                                          1950manifestazione di protesta contro gli eccidi lavoratori in Emilia

Che cosa ha fatto dopo essere stato segretario responsabile della C.d.L.di Lecco?  Nel J 948 sono stato eletto deputato. 
Lei era anche in consiglio comunale? Sono stato vicesindaco con Mauri fino al 1948 e nello stesso tempo ero segretario della C.d.L.,poi, da deputatoho continuato a fare il segretario della C.d .L. fino alla fine del '50.
FuAgostino Novella, organizzatore della CGIL, a dirmi che avevano deciso di mandarmi a Como. Gli risposi che era matto.  La C.d.L. di Lecco èstata pro­vinciale fin dal primo giorno e non dipendeva da Como, a differenza dei partiti. Il PCI di Lecco divenne autonomo nel '49, quando fu costituita la federazione lecchese del partito. La DC lecchese divenne autonoma più tardi. 
In che periodo è stato a Como? Dal 27 dicembre del '50 al '56 come segretario della C.d.L. di Como.Mi assicurarono che sarei rimasto per 2 anni, al terzo anno chiesi che cosa intendessero fare: «Allora cosa facciamo, scher­ziamo? Ho la famiglia a Lecco e sto a Como, dove non prendo neanche un soldo».
Tutte le spese erano a mio carico perché ero deputato e avevo lo stipendio di deputato. Allora intervenne la federazione del partito di Como per non lasciarmi andare via; decisi di portare la famiglia a Como nel '54. Nel '56 sono passato a dirigere il PCI della federazione di Como fino al '58, quan­do fui eletto per la terza volta deputato. Nel frattempo, il Comitato Centrale del PCI stabilì che i deputati non potevano fare più di 3 legislature e che non si poteva essere contemporaneamente segretari del partito.
Visto che lei era allora in Parlamento, che ricordo ha della discussione sulla "legge truffa"?È durata tre giorni e tre notti senza interruzioni. E’ passata grazie a quella discussione di tre giorni e tre notti, proprio tutti erano informati sulla legge "truffa". Io ero fra i più giovani. Avevamo dormito qualche ora sui divani di Montecitorio perché il dibattito era senza sosta. Ne abbiamo inventate di tutti i colori; ognuno doveva presentare emen­damenti. Io per esempio avevo presentato un emendamento per far vota­re i ciechi da soli in cabina.
Anche per il Patto Atlantico è stato un dibattito del genere? La stessa cosa. Alle sei del mattino, quando èfinita la seduta, dopo due notti, siamo usciti cantando: "Va fuori d'Italia, va fuori straniero", ma eravamo noi che andavamo fuori, non lo straniero, perché lo straniero era De Gasperi che era austriaco.
De Gasperi votò l'impiccagione di Cesare Battisti. Adesso vogliono far­lo santo. De Gasperi era deputato al Parlamento austriaco, allora votavano per alzata e seduta; lui votò "sì"all'impiccagione di Cesare Battisti e degli altri (Oberdan). Mi domando come si possa far santo uno che uccide. Togliatti non ha mai voluto che si adoperasse questo argomento. Qualche volta noi in gruppo tiravamo fuori questo fatto: «Perché non glielo sputiamo in faccia?», ma Togliatti non ha mai voluto perché nella fase storica in cui avvenne il fatto e nella posizione di De Gasperi non era un atto condannabile perché lui era austriaco. Cesare Battisti era un traditore e dovevano impiccarlo.
Nel '49 Bartesaghi,allora sindaco di Lecco, ha votato contro il Patto Atlantico. È passato dalla parte del PCI; non si è mai iscritto però. Bartesaghi è stato espulso dalla DC per aver votato contro il Patto Atlantico?
No, non ha votato contro il Patto Atlantico. Si è staccato dalla DC perché era favorevole a un ordine del giorno che aveva presentato Giuliana Nenni, la figlia di Nenni. Quando capì che i democristiani non avrebbero votato a favore disse che erano dei "porci", che l'opposizione a quell'o.d.g. era una presa di parte del partito, solo perché era stato presentato da una socialista. Bartesaghi fu espulso dalla DC perché votò l’ordine del giorno con Mario Melloni, che era il direttore del Popolo,lo stesso che poi sull'Unità si firmava "Fortebraccio". Ma­rio Melloni aveva già un fratello comunista, s’iscrisse al PCI e divenne direttore dell'Unità;con il nome Fortebraccio scriveva i cor­sivi che comparivano sul Po­polo firmati Mario Melloni.
Quali erano le idee politiche di BartesaghiPer quale corrente pro­pendeva?Bartesaghi era scelbiano. Quando ci fu l'attentato a Togliatti, io, come segretario della C.d.L., andai con alcune migliaia di persone fuori dal palazzo comunale. Andai dal sindaco Bartcsaghi con una delegazione composta da Vanalli e anche da Pio Galli, che poi è diventato segretario della C.d.L. di Lecco. Mi ricordo che Bartesaghi, tutto sciancato, si appoggiò allo spigolo del­la scrivania e disse queste parole: «Condivido le responsabilità di Scelba». Era scelbiano. In consiglio comunale noi avevamo r abitudine di pro­porre discussioni che riguardavano anche i progetti di legge.
Ci fu un progetto di legge che ordinava di fare l'inventario delle scorte in tutte le fabbriche metalmeccaniche. Sembrava una legge in vista di una guerra. Ci fu una discussione in Consiglio Comunale e Bartesaghi ascoltò con attenzione, anche se noi esprimevamo le nostre idee come se fossimo stati in piazza.

Nel Taccuinod’appunti, scritto da Gabriele Invernizzi, terminato prima della morte nel novantasei, emerge la complessità della persona e alcuni aspetti intimi. Termina il suo Taccuinoringraziando le donne della Resistenza, la madre e la moglie.

                                                                                  
Commemorazione della Resistenza 
 


Gabriele Invernizzi, Taccuino d’appunti,coop. Editoriale Logos, Lc, 1997 
Enrico Magni a cura, Una lunga storia di Libertà: dalla Resistenza all’impegno sindacale, coop. Editoriale Logos, Lc, 1996

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