2019-01-21

Angelo Aquilino Frigerio: Mauthausen 1944


Enrico Magni- La memoria va risollecitata, stimolata per mai dimenticare ciò che è accaduto in Europa negli anni che vanno dalle leggi razziali del 1938, all’occupazione della Polonia del 1939 fino al 25 aprile del 1945. Troppe croci sono sparse sotto il cielo di questa Europa pacificata da poter far finta che sia stato uno scherzo del destino umano. 

Per mai dimenticare: totale morti 1.899.500; militari 22.563.247; civili 48.524.663.Fonte:Joseph V. O'Brien, Dipartimento di Storia – John Jay College of Criminal Justice, New York, NY, USA
Ci sono persone che hanno combattuto e sofferto per liberare l’Europa dal nazifascismo, tra queste c’era il partigiano Lino Gabbia nome di battaglia di Angelo Aquilino Frigerio nato a Calolziocorte l’1 aprile 1921 da famiglia antifascista. Ha partecipato alla Resistenza fino all'arresto nel febbraio '44, poi è stato deportato a Mauthausen e v’è rimasto fino alla Liberazione del campo di sterminio. Riporto l’intervista fatta negli anni novanta da me curata (Camera del lavoro di Lecco, Una lunga storia di Libertà: dalla resistenza all'impegno sindacale, coop. Editoriale Logos)
Com’è iniziata la sua lotta contro il nazifascismo?
Ho un ricordo di quando avevo quattordici anni che di tanto in tanto riaffiora. Passava da Cisano, c’era un corteo che si dirigeva a Calolziocorte con tutti i fasci di combattimento, c'era il raduno. Con un signore, che adesso è morto, guardavamo il passaggio di questo corteo ai margini della provinciale. Mentre passavano le legioni del fascio in divisa, bisognava salutare il gagliardetto. Io non lo sapevo e non l'ho fatto. Si sono avvicinati tre o quattro fascisti e mi hanno dato un sacco di pugni e schiaffi. Da quella volta ho odiato il fascio, tanto che il sabato, quando bisognava fare il premilitare, dovevano venire a prendere perché non andavo.
Quindi è stato costretto a fare il premilitare?
Sì, sono stato costretto a farlo. Non avrei voluto perché da quando sono stato picchiato dai fascisti a Calolziocorte ho sempre odiato i fascisti, sono sempre stato contro.
I suoi genitori erano antifascisti?
Mio padre non s’intendeva di politica, però era contro il fascio. Mio zio, per esempio, ancora nel '21-'22, era stato portato in mezzo alla strada ed era stato costretto a bere l'olio di ricino con l'imbuto perché era antifascista. Cisano, Pontida ... erano le zone del fascio. I fascisti erano tutti lì.
Quando è nato? 
Sono nato nel 1921.
Che cosa si ricorda dei primi anni del fascismo?
Bisognava indossare la camicia nera. Ero andato a scuola fino alla V elementare e la camicia nera era d'obbligo: ma io non l'ho mai portata. Dicevo: «Non vado a scuola, piuttosto». È sempre stata una cosa che non mi andava. Mio fratello era del '24, pesava 103 Kg, neanche lui andava al premilitare.
Una volta quei tre-quattro gerarchi di Calolziocorte l'hanno chiamato in sede. Lui aveva un fisico che faceva paura. Era entrato e si era avvicinato alla finestra. I fascisti volevano picchiarlo perché non andava al premilitare. Lui allora disse: «Il primo che mi viene vicino va giù dalla finestra». Non lo toccarono, non gli fecero più niente. 
È morto annegato a 26 anni. Dopo la guerra era diventato il responsabile della Camera del Lavoro di Calolziocorte. Lui, col peso che aveva, partiva in bicicletta con la pratica di pensione per i vecchietti e andava fino a Bergamo. Non si faceva pagare neanche da bere, non voleva niente, neanche dal sindacato. Era bravo. Era nel PCI.
Anche nel PCI clandestino?
No. Siccome io ero prigioniero dei tedeschi, lui dovette andare a militare nel San Marco. Si presentò, altrimenti avrebbero portato via nostro padre. Pensa che dopo nemmeno tre mesi è scappato da Pola ed è arrivato a Calolziocorte a piedi. È stato nel PCI dal 1946 al luglio del 1950, quando èmorto. In occasione della festa del partito girava tutto il paese in bicicletta per vendere 50, 100 copie deL'Unità. Ci perdeva sempre: molti non pagavano.
Mi dica, in che modo è stato arrestato.
L'8 settembre del 1943 c'era stato l'armistizio. Io ero nel V alpini di Monza. Il mio comandante era un capitano squadrista, un fascista. Davanti a circa 3.000, soldati sono andato alla finestra, presi il quadro del duce, chiamai il capitano e gli gridai: «Capitano, ecco il suo duce!» e buttai il quadro dalla finestra.
Allora dovetti scappare, altrimenti mi avrebbero arrestato, dato che comandavano ancora loro.
Fino a quel momento era nell'esercito regolare?
Sì, ma sono dovuto scappare perché ero contro i fascisti, non li potevo vedere. Mi sono unito alle brigate in Val Taleggio. Dopo qualche mese, l'11 febbraio del 1944, sono partito da Calolziocorte per andare in Val Brembana.
Era stato partigiano anche a Lecco?
Sì, all'inizio eravamo solo una decina, poi siamo diventati 30. In Val Brembana eravamo di meno, penso 20. Ci procuravamo le poche armi che avevamo di notte, ci appostavamo nelle campagne in attesa di qualche camionetta militare per recuperare le armi. Faceva un freddo tremendo, i contadini ci davano qualcosa.
La vita in montagna era dura, tutte le strade erano bloccate. Il primo punto di ritrovo era sul sentiero che andava al Resegone. Ricordo una volta che ci avevano sparato con i mitragliatori e ci salvammo per miracolo.
È stato ai Piani d'Erna?
Sono stato in Erna. Da lì andavamo alla Capanna Monzese da Lino Ciceri che poi èstato fucilato. Era lui che ci dava qualcosa da mangiare, la carne di qualche pecora che ammazzava. Ciceri è stato fucilato a Fossoli, dove faceva l'elettricista, insieme ad Aldo Ghezzi di Bergamo.
Poi, se non sbaglio, è scappato da Lecco.
Sì, sono scappato da Lecco dopo il rastrellamento. Ci trovavamo a Oltre il Colle, in Val Brembana nella villa di Poldo Gasparotto, che èstato poi fucilato a Fossoli prima dei 67, e la sua casa è stata incendiata. Il giorno del rastrellamento, per fortuna, ero a casa. La sentinella, un ragazzotto di nome Walter, fu pugnalata e preso tutti i partigiani di quella formazione.
Il giorno prima avevamo visto passare tre cacciatori, la cosa ci era sembrata strana, in quella stagione non c'era il permesso di andare a caccia, ma non avevamo dato peso alla circostanza.
Poi si seppe che erano Resmini, il tenente di Bergamo della RSI, e Allegretti. Mi ricordo. Ero legato e Resmini stava mangiando. Il suo panino si sporcò di alcune gocce del mio sangue, lui continuò a mangiare dicendomi: «Vedi, mangio il tuo sangue!». 
Dopo la Libeazione, Resmini fu preso a Bergamo da un sindacalista dei chimici di Bergamo, fu portato in Val Cava; quando scese dalla macchina, fu eliminato da una raffica di mitra nella testa: Resmini pensava di essere liberato.
Sono convinto che chi ha fucilato il duce non ha preso soldi. L’hanno ucciso perché così doveva essere. L'oro è stato scaricato qui. Mi hanno detto che nello stabilimento Bonaiti sono entrate alcune camionette contenenti beni di chi scappava ... e sono uscite vuote.
Dove sono andati a finire quei soldi?
Uno che ha davvero fatto il partigiano non ha rubato niente, anzi ha dato del suo. Io conoscevo Riccardo Angeli, un partigiano di Sala di Calolzio, che adesso è morto. Portava i prigionieri che scappavano dal campo di concentramento di Bergamo fino in Svizzera. Non aveva più neanche una maglia perché dava tutto a quei poveri cristi.Non ha preso niente da nessuno quel ragazzo! C'era un altro partigiano qui a Calolzio, Renzo Galli, era del '19, faceva l'autista alla Bonaiti: l'hannofucilato dalle parti di Mandello o Fiumelatte.
Dove è stato catturato?
Mi hanno preso a Bergamo. Ero sceso dal treno per incontrare un mio amico, Cesarino Invernizzi, che mi disse: «Fammi un piacere Angelo, portami in montagna questa rivoltella, perché su non hanno niente». Misi la rivoltella in tasca e ci salutammo. Non facci neanche in tempo a uscire dalla piazza della stazione che mi dicono: «Mani in alto». Mi hanno dato un colpo in testa e non ho capito più niente. Mi ritrovai legato completamente nudo vicino al Palazzo della Libertà di Bergamo. Per due giorni e due notti mi massacrarono di botte. Mi interrogarono e poi mi portarono a San Vittore con un camioncino. 
Lungo la strada che portava a Milano, sui cavalcavia si vedevano file di impiccati. Non erano partigiani ma ragazzi renitenti alla leva. I fascisti ci dissero: «Guardate che quando arriverete a San Vittore, farete la stessa fine».
Che giorno era?
Era l'11 febbraio del 1944. Sul furgoncino con me c'erano Sperandio Maraschi e Giuseppe Carrara, che èmorto poco tempo fa. A San Vittore sono finito nella cella numero 40. Ci sono rimasto ottantotto giorni, senza mai vedere la luce del sole. Ogni tanto i fascisti venivano a prelevarmi, mi interrogavano, mi picchiavano. Ci dissero che da lì ci avrebbero portati in Germania. Invece ci portarono a Fossoli.
Lei è tra quelli che si sono salvati?
Sì, i famosi 67 fucilati, avrebbero dovuto essere 68, ma per puro caso sono ancora vivo. Emilio Gandini di Lecco, uno di quelli che portava la roba sul Resegone, cinque minuti prima che il camion partisse disse al tedesco: «Mi occorre quell'operaio per riparare le baracche». Così mi fecero scendere dal camion.
Gli altri furono portati al poligono di Carpi. Diedero a loro un piccone, una pala o un rastrello dicendo che dovevano scavare un fossato per lo scorrimento dell'acqua. Dietro una grande siepe c'erano nascoste le SS, con le loro mitraglie. Quando i prigionieri finirono di scavare, furono uccisi tutti. Chi non è morto sul colpo è stato finito con un colpo di rivoltella in testa. Tutti sotterrati a Fossoli.
A Modena ho conosciuto il papà Cervi. Nel campo di concentramento di Fossoli, sotto i suoi occhi, gli uccisero i sette figli. Lui è rimasto vivo.
Quando è stato trasferito a Mauthausen?
Subito dopo la strage di Fossoli. Itedeschi cominciarono ad aver paura; ci dissero che ci avrebbero trasferito in Germania a lavorare. Ci caricarono sui vagoni e ci portarono tutti in Germania. Dopo aver passato tre giorni e tre notti chiusi nei vagoni, arrivammo Mauthausen. Lì iniziò il calvario.
Cosa ricorda dell'esperienza in campo di concentramento?
Ogni giorno, fino alla Liberazione, portavamo sassi da una parte all'altra, ma senza alcun motivo, così, con il solo scopo di sfinirci.
Non sapevate proprio niente?
No. Nel campo eravamo in 78.000. Alcune persone ricevevano una saponetta e una salvietta, credevano di andare afare il bagno invece venivano introdotte nei capannoni e non se ne sapeva più niente. Abbiamo cominciato a capire verso la fine che andavano al forno crematorio, perché abbiamo sentito l'odore dei morti che bruciavano.
Come siete stati liberati?
A Mauthausen passa il Danubio. Da una parte arrivarono i Russi, dall'altra gli Americani e ci liberarono. Le guardie delle SS erano circa 6.000Non se ne salvò neanche una, furono riconosciute dal loro tatuaggio sul braccio. Parecchie sono state ammazzate sul ponte dai Russi e dagli Americani.
Un capitano polacco si era salvato ed era venuto nel campo americano, dove eravamo noi per portarci frutta e verdura. Fu riconosciuto dai prigionieri polacchi come capitano delle SS, fu appeso con un filo di ferro a un albero ed è stato bruciato vivo proprio vicino a noi.
Poi che cosa è successo?
Gli Americani ci tennero lì per un mese e mezzo per tirarci un po' superché eravamo sfiniti. Ci davano carne di cavallo tritata e zuppa. Nonostante ciò, tutti gli anziani dai 60 anni in su morirono. Si sedevano fuori dalle baracche perché faceva abbastanza caldo e mangiavano unpo' più del solito: la mattina, quando si andava a chiamarli, li trovavamo morti. Non ce l'hanno fatta. 
Siamo rimasti noi, che eravamo dei giovani di 22-24 anni. Gli anziani sono morti tutti e così pure i bambini. Mi ricordo di un fatto incredibile. Vicino a noi c'era una bambina di tre anni. Un sergente delle SS la vide, la prende, ci gioca, la bambina ride. La faceva saltare per farla giocare. Dicolpo la butta contro i fili. La bambina muore bruciata.  Questo èun esempio delle porcherie che facevano nel campo. Loro facevano tutto quello che avevano voglia di fare. Se passava una guardi delle SS mentre si stava lavorando, bisognava tenere la testa abbassata, non si poteva guardarla in faccia, altrimenti ti ammazzavano di botte.
Era un segno di sottomissione?
Sì, però alla fine siamo riusciti a venirne fuori. Io sono stato tra i fortunati. Durante i bombardamenti di Linz i nazisti ci prelevavano dal campo con il rimorchio e ci portavano fuori a tirar su le bombe inesplose. Facevamo una buca tutt'intorno alle bombe e poi lo specialista toglieva la spoletta. Finiti i bombardamenti, venivano i camion pe portarci a dissotterrare le bombe inesplose.
La fortuna era che così trovavamo qualcosa da mangiare, altrimenti saremmo morti. Quasi tutti a Mauthausen sono morti di fame, non tanto per i maltrattamenti e per le percosse, ma di fame e di sete. 'Tanti non li abbiamo più visti.
Quando è tornato a casa?
Sono tornato alla fine di giugno del 1945. 
Qui a Calolziocorte?
Sì, ma non mi aspettavano più, non sapevano neanche se ero ancor vivo...Voglio raccontare il fatto dell'arciprete di Calolziocorte, don Achille Bolis. A settantatré anni fu portato a San Vittore. Io ero nella cella 40, ildottor Zanini di Calolziocorte nella 39 e Renzo Stanga nella 38. Comunicavamo tramite colpi sul muro e di mattino, quando la guardia ci apriva un poco la porta. Una mattina la guardia mi disse: «Guarda che questa mattina hanno arrestato il tuo compagno di Calolzio», «Chi è?», «l'arciprete di Calolzio». Stava al piano sopra di me. Lo seppi dopo la sua morte. È morto perché dava sostegno ai ragazzi sbandati. Fu una spia a farlo prendere. A San Vittore l'hanno ammazzato a pugni, non èmorto come dicono loro. Tanto è vero che, guardando fuori dal finestrino, scendendo dalle scale, vedevo l'arciprete che non stava più in piedi per le botte che aveva preso.
Le persone che ha nominato erano tutte di Calolziocorte?
Sì. Di Calolziocorte sono morti anche Rosa, padre e figlio, in Germania, nel campo di concentramento. Ildottor Zanini èmorto anche luiInsomma, su diciotto persone sono rimasto solo io, gli altri sono morti tutti.
L'arciprete e suoi due compagni sono stati uccisi a San Vittore?
L'arciprete è stato ucciso a San Vittore, Renzo Stanga è stato ucciso alla Cagnola (Porta Ticinese). I momenti peggiori li ho passati a San Vittore. La sera tornavano i tedeschi ubriachi, aprivano una cella a caso e ti ammazzavano di botte. A Fossoli non si stava male, si lavorava poco o niente, ma le persone venivano portate via e non sapevi più, dove andavano: arrivava uno con un camion e caricava 5 o 6 prigionieri, dicendo che dovevano essere interrogati, non li vedevi più, non ritornavano più.
Il dottor Zanini, uno dei primi partigiani, è stato preso a causa di una spia. A Fossoli era il medico del campo, ha fatto una brutta fine. Era dentista e l'hanno mandato in una cava di sassi. Rapati a zero com'eravamo, non potevamo riconoscerci, se non capitavamo vicini.
Tornato da Mauthausen cosa ha fatto?
Sono stato per 5-6 mesi nella polizia partigiana, poi ho trovato un posto di lavoro alla Bonaiti, ho lavorato lì per 22 anni e poi a Valgreghentino. Sono sempre stato bene.
Era nella polizia partigiana di Lecco?
Sì, nella zona di Lecco, insieme con Spartaco Mauri, al capitano Livio e a Tom (Tagliabue). In seguito ad un incidente sono stato trasferito a Cantù con un nome falso: Franco Angeli.
Nel dopoguerra ha svolto attività sindacale o politica?
Aiutavo la Camera del Lavoro. Allora era difficile perché non erano trattenuti i contributi ai lavoratori delle ditte, come oggi, bisognava passare da ciascun lavoratore a chiedere la quota.
Chi faceva il collettore rischiava di perdere il posto. Era difficile lavorare nel sindacato allora. Partivo in bicicletta da Calolziocorte fino a Bergamo per raccogliere le quote sindacali.
Si ricorda di qualche lotta in particolare alla Bonaiti?
No, si andava abbastanza d'accordo. Si stava bene. C'era qualche sciopero ogni tanto. Nella commissione eravamo in tre. Non stavamo mai in un ufficio. Per avere la fiducia del padrone e per farci ascoltare dovevamo lavorare più degli altri. Con il nostro padrone siamo sempre andati d'accordo, un po' meno con sindacati liberi.
Com'erano alla Bonaiti irapporti con Sindacati Liberi?
Ci si conosceva e si cercava sempre di andare d'accordo. C'era sempre chi avrebbe voluto fare di più, ma non mi posso lamentare. Quando però bisognava scioperare era difficile.
I Sindacati Liberi non partecipavano agli scioperi?
 No, non vi partecipavano. La Commissione Interna alla Bonaiti era in maggioranza comunista.  Eravamo in tre: io ero comunista, gli altri non so, però andavo d’accordo.
Alla Bonaiti e'è stato qualche momento particolarmente difficile, per esempio in occasione della "legge truffa" o per il patto atlantico?
Sì, quando c'è stato lo sciopero per il ferimento di Togliatti. Il direttore della ditta era un fascista, non andavo d'accordo con lui. Dopo 21 anni di attività, infatti, mi ha licenzialo. Il nipote del padrone mi avrebbe riassunto, ma non ho voluto. Sono andato a lavorare in Valgreghentino nella ditta VAP, che produceva viti, per altri undici anni e poi me ne sono andato in pensione.


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