2018-09-15

“Non ho ricette magiche, però se ce l’ho fatta io a curarmi ce la fanno tutti”

La significativa testimonianza della giornalista Anna Savini, che sabato 15 settembre parlerà a Dervio del suo libro e della sua malattia


(C.Bott.) Si intitola Buone ragioni per restare in vita. E ha un sottotitolo tanto efficace quanto centrato: “Il tumore viene agli altri, mica a me”. E invece, no.
A scriverlo, quel libro, è Anna Savini. E di quel libro (e naturalmente della sfida dell’autrice alla malattia) si parlerà sabato 15 settembre a Dervio, dove la Biblioteca e l’amministrazione comunale presentano il prossimo appuntamento del Coro femminile “Corollario”, incentrato proprio sull’incontro con la giornalista lecchese.
L’appuntamento, per tutti, è a partire dalle 19.30 in sala consiliare, dove la serata (a ingresso libero) si aprirà con una apericena per poi scoprire, tra un canto e l’altro, questa coraggiosa autrice.
Quella che segue è la sua lucida quanto significativa testimonianza.
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Ci sono persone alle quali viene tutto facile. Io non sono una di quelle. Voglio sempre qualcosa che non posso avere e, se riesco a ottenerlo, voglio qualcos’altro. A furia di ragionare così, a sogni e non a obiettivi, mi sono trovata in mezzo a una voragine.
Da una parte c’era ciò che sognavo. Dall’altra quello che ero riuscita a fare. Nel mezzo c’ero io, con i miei sensi di colpa.
Ecco, prima di ammalarmi io ero così. Continuavo a guardare la vita delle mie amiche immaginarie, le modelle e le attrici, e mi dimenticavo di vivere la mia. Prostrata da un defunto amore che non mi amava più, stressata da una mamma che mi amava troppo, lavoravo, aiutavo mia sorella a curare le sue bambine e pensavo che un giorno avrei avuto un premio.
Invece, quando ragioni così, succede l’esatto contrario. Succede che ti ammali perché le tue difese immunitarie si distraggono. Tumore al seno. L’ultima cosa che volevo è stata la prima che ho avuto. Non è che non l’avessi messo in conto, ma un po’ più in là, non a 44 anni. Non lo volevo, ma c’era. In più c’è voluto un po’ a scoprirlo. Io sentivo una cosa strana e solo quando è stato impossibile ignorarla ho deciso di andare a fare gli esami. Così ho imparato la prima lezione.
Non è che se non cerchi una cosa, non la trovi. Dovevo fare prevenzione, anche perché più si aspetta più peggiora il pacchetto di cure da affrontare. Il primo pensiero è stato: “Cavoli, adesso se muoio non ho neanche il libro”. Tra una montagna di sogni irrealizzabili, infatti, ne avevo uno realizzabilissimo.
Era da quando avevo 14 anni che sognavo di farlo. Iniziavo a scrivere ma poi c’era sempre qualcuno che pubblicava qualcosa di simile a quello che stavo scrivendo io e allora mi interrompevo. Invece questo l’ho finito.  E’ la storia una ragazza con la testa piena di sogni che un giorno si ammala e si domanda come mai ha perso così tanto tempo.
L’ho scritto di getto e si legge d’un fiato. In alcuni passaggi fa anche ridere. Io infatti non leggevo (e non leggo ancora ora) i libri sulle malattie, sui tumori, sulle cose tristi, perché somatizzo e mi deprimo. Quindi non potevo scrivere un libro triste o noioso. Si intitola “Buone ragioni per restare in vita” perché ne servono tante per sopportare la chemio e i suoi effetti collaterali.

Il libro, edito Mondadori, ha compiuto un anno da poco e quando è uscito sono stata inondata dall’affetto. Ho anche ritrovato vecchi amici ai quali non avevo detto niente perché non volevo essere trattata come malata.
Era la mia unica difesa, cercare di essere considerata normale il più possibile perché quando ti ammali la gente inizia a vederti in maniera strana, con gli occhi del terrore. Io volevo andare avanti a lavorare e ce l’ho fatta. Ognuno reagisce a proprio modo, io ho reagito così.
Ad altri magari fa bene stare a casa in malattia, non so. Io non ho ricette magiche, però dico sempre che se ce l’ho fatta io a curarmi ce la fanno tutti.
Una psicologa ha detto che noi siamo capolavori evolutivi. Il nostro cervello è in grado di farci adattare a qualunque situazione, perfino al campo di concentramento.  Così alla fine mi sono abituata anch’io. L’autostima che non avevo prima è arrivata dopo.

Il libro è stato scelto come testo di studio al posto della Chanson De Roland nella seconda A delle scuole medie di Fagnano Olona, in provincia di Varese. La professoressa Beatrice Zerini ha pensato che potesse essere utile per i ragazzi, imparare che bisogna concentrarsi sulla propria di vita, prendendo ispirazione dai propri idoli sì, ma senza lasciarsi schiacciare dal confronto con loro.
Essere d’esempio, a rovescio, per i giovani, mi ha riempito d’orgoglio. Così come sapere che le mie lettrici aspettano con ansia il mio secondo libro. Il mio sogno adesso è che un giorno qualcuno, leggendo il primo, si domandi: “Ma il tumore cos’era?”. Vorrebbe dire che hanno trovato una cura.
Per adesso c’è solo questa e comunque, quando è passata, arriva un giorno, bellissimo, in cui riesci persino a dimenticartene. Che è quello che auguro a chi è sotto cura, mentre a chi sta bene posso soltanto dare un consiglio. Fate cose belle, così tenete alla larga le cose brutte e comunque intanto le avete fatte e non ve le toglie nessuno.

Anna Savini

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