2018-09-01

La montagna non è povera. Ma è indispensabile saperla valorizzare

Erano gli anni Settanta e la rivista “Giorni” dedicò un servizio ai Piani di Bobbio e a un alpeggio che era stato ristrutturato dopo essere stato abbandonato e ridotto a rudere


di Claudio Redaelli
Erano gli anni Settanta e la rivista Giorni di cui era direttore Davide Lajolo, con Clemente Azzini suo “vice” e Bruno Cremascoli a ricoprire la carica di direttore responsabile, mi incaricò di scrivere un servizio sui Piani di Bobbio e su un alpeggio che era stato ristrutturato dopo essere stato abbandonato e ridotto a rudere.

“E’ stato interamente ricostruito - così iniziava il servizio - e attrezzato con macchinari per la lavorazione del latte e la conservazione dei prodotti, sistemato per ospitare i lavoratori che vi sono occupati, affidato a una cooperativa di allevatori”.
Quello era diventato un esempio, uno dei primi in provincia di Como, di come con il concreto interessamento degli enti pubblici si potesse far rifiorire la zootecnia in montagna, frenando una volta per tutte in queste regioni economicamente trascurate la tendenza grave al sottosviluppo, lo spopolamento, l’abbandono di attività tradizionali come l’agricoltura, l’allevamento e la forestazione.

Ai Piani di Bobbio quel primo esempio di alpeggio ristrutturato e valorizzato sarebbe stato significativo per tutti gli altri che gli enti locali della provincia, con la partecipazione della Regione Lombardia, avevano già sistemato, o comunque si apprestavano a farlo, nell’ambito di un preciso piano varato dall’amministrazione provinciale in accordo con le Comunità montane.
Nel servizio in questione ricordavo che, dal canto loro, le Comunità montane avevano provveduto a progetti tecnici di ricostruzione e attrezzatura degli alpeggi, poi affidati alle iniziative cooperativistiche o associative degli allevatori, e spiegavo che l’alpeggio di Bobbio durante i tre mesi estivi era “caricato” di oltre 200 capi di bestiame, con una decina di lavoratori.
“Il latte prodotto - aggiungevo - viene lavorato direttamente e trasformato in burro e formaggio. E poiché siamo in una località turistica, avviene che il prodotto può essere venduto direttamente, con grande vantaggio sia per il produttore, salvaguardato dalle speculazioni, sia per l’acquirente, che ha la garanzia della genuinità”.
Ecco allora che gli alpeggi, oltre ad avere un grande valore per il rilancio della zootecnia, assumono - ieri come oggi - importanza fondamentale per la promozione di un’autentica forma di agriturismo.

E non a caso sempre sulla rivista Giorni e in quello stesso servizio ricordavo che sul territorio provinciale i risultati auspicati stavano diventando sempre più concreti, in virtù anche di una efficace collaborazione tra i vari enti impegnati nello sviluppo dell’economia del territorio stesso, dai singoli Comuni fino alla Regione, passando attraverso Comunità montane e Provincia.
Protagonisti rimanevano peraltro, e rimangono tuttora, i contadini e gli allevatori, perché la montagna non è povera, era ed è piena di risorse.
Di recente a evidenziare ruolo e significato degli alpeggi e di coloro i quali scelgono di non abbandonare la montagna, ma anzi di tutelarla e valorizzarla, era stata anche Antonella Invernizzi, assessore in Comunità montana e presidente del Centro zootecnico valsassinese, oltre che sindaco di Morterone.
“Chi vive in città e lavora chiuso in un ufficio, in una fabbrica o in un esercizio commerciale - aveva detto - quando si reca in montagna per una gita rimane affascinato dalla vita apparentemente tranquilla e all’aria aperta dei pastori che pascolano le loro mandrie in un ambiente sereno e bucolico. Forse non è soltanto così. Questo modo di vivere è scandito da ritmi antichi e non derogabili, fatto ancora oggi di gioie ma soprattutto di sacrifici”.
“E’ la vita di chi alleva il bestiame - aveva aggiunto - basata sullo spostamento sul territorio, alla continua ricerca di foraggio. E iniziative come la rassegna “Itinerari delle mani, della mente, del cuore” allestita fino al 30 settembre a Pasturo testimoniano la storia di quella che è una tra le attività economiche più antiche, ma che è anche un pezzo della cultura italiana, fatta di avvenimenti, di antica maestria nel produrre il formaggio, di stazioni di sosta e di lunghi periodi di vita lontano da casa, che si ripete fin dal neolitico e che sta andando con il tempo a estinguersi, intorno alla quale fino a meno di un secolo fa ruotavano l’economia e la vita sociale locale”.
Ecco allora l’importanza di saper valorizzare le risorse montane, riconquistando la fiducia in territori e attività che in essa possono svilupparsi, continuando sulla strada di mettere un freno a qualsiasi manovra speculativa capace di dilaniare l’economia proprio dei nostri territori montani.

Nelle immagini, le tre fotografie che corredavano il servizio apparso sulla rivista “Giorni” dedicato a Bobbio e all’alpeggio ristrutturato.

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