2018-08-23

Quella frana del San Martino sollecita a non abbassare la guardia

Accadde nel febbraio 1969 e causò la morte di sette persone. Tre anni dopo la svolta nelle indagini. Ora è indispensabile una puntuale azione di monitoraggio del vallo paramassi e delle reti di protezione

di Claudio Redaelli
Nella notte del 23 febbraio 1969 una frana staccatasi dal monte San Martino causò la morte di sette persone. Alcuni anni dopo - era infatti l’estate del 1972 - un provvedimento del giudice istruttore rinviò a giudizio l’ex sindaco di Lecco Alessandro Rusconi. 

Quell’evento drammatico e appunto gli sviluppi delle indagini che ne seguirono sono tornati di stretta attualità in questo agosto 2018 segnato dal tragico crollo del ponte Morandi a Genova, oltre che da quanto accaduto nei giorni scorsi nel parco del Pollino in Calabria, dove un torrente in piena ha travolto un gruppo di turisti, causando la morte di dieci di loro.

Negli anni successivi alla frana del San Martino è stato come noto creato un vallo paramassi a protezione della città e in particolare dei quartieri alti di Lecco. Sono state collocate reti di protezione ma è indispensabile che Stato, Regione Lombardia e Comune di Lecco svolgano un’attenta quanto puntuale azione di monitoraggio del monte, che in verità dal 2012 è sotto osservazione da parte degli esperti del Politecnico i quali, con un progetto innovativo, hanno provveduto all’installazione di sensori utili non soltanto a rilevare ma anche a prevenire eventuali movimenti franosi.
Occorre insomma non abbassare la guardia, a tutela in particolare dei residenti nei rioni di Rancio e Laorca e in generale di coloro i quali abitano a cospetto del San Martino.
Va detto  che sono ormai lontani gli anni in cui tutte le strade dell’Anas erano tenute sotto stretto e pressoché quotidiano controllo anche e soprattutto per la presenza dei cantonieri, che pur con mezzi limitati ma con grande buona volontà e competenza monitoravano appunto il territorio, magari a prezzo di lunghe camminate. E analogo discorso valeva per la linea ferroviaria.
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Tornando alla frana del ’69 del monte San Martino, riportiamo qui di seguito ampi stralci del servizio che il quotidiano l’Unità pubblicò il 24 luglio 1972 - in pagina nazionale e a firma del giornalista Claudio Redaelli - a seguito del già ricordato rinvio a giudizio dell’ex sindaco Rusconi.
“Vivo interesse ha suscitato a Lecco la notizia secondo la quale il giudice istruttore presso il Tribunale di Lecco dottor Maraschi ha depositato una sentenza istruttoria con cui ordina il rinvio a giudizio dell’ex sindaco di Lecco, dottor Alessandro Rusconi, imputato di “omicidio colposo plurimo aggravato” in relazione alla morte di sette cittadini lecchesi avvenuta nella notte tra il 22 e il 23 febbraio 1969, quando un enorme masso staccatosi dalla parete del Monte San Martino franò sulla “casa del sole”, dove sette immigrati erano alloggiati con le loro famiglie.
Insieme con l’ex amministratore dc è stato incriminato anche il proprietario della stamberga che abusivamente era stata affittata ai disgraziati lavoratori.
La motivazione del provvedimento istruttorio analizza a fondo sia il comportamento del responsabile dell’Amministrazione civica sia le cause sociali dell’assurda situazione in cui i lavoratori meridionali si sono venuti a trovare e che è costata a loro e ai loro familiari la vita…”.
Più avanti si leggeva: “Per quanto riguarda il responsabile dell’amministrazione Dc-Psi che allora, come ora, gestiva la comunità lecchese, il giudice afferma che il sindaco aveva il dovere di predisporre i mezzi necessari all’attuazione della propria ordinanza con la quale, rilevata già anni addietro la pericolosità di tutta la zona minacciata dallo stato assolutamente precario della parete del San Martino, se ne decideva lo sgombero. Operazione che il dottor Rusconi demandò, mediante comunicazione scritta, alle forze dell’ordine ma che non venne mai concretamente eseguita o fatta eseguire.

A questo riguardo il giudice istruttore sostiene che sia la lettera ai carabinieri e alla polizia sia l’ordinanza erano “equivoche” e “invece di escludere la responsabilità del Rusconi l’aggravava, poiché dimostrano che, se formalmente il sindaco aveva intenzione di garantirsi da eventuali responsabilità, sostanzialmente non intendeva far allontanare dalle abitazioni 134 persone e conseguentemente assicurare alle stesse una sistemazione adeguata”.
La decisione del giudice istruttore, interessante per la chiarezza, il coraggio e la chiara individuazione delle cause politico-sociali della tragedia, non può non riscuotere una eco molto positiva nell’ambito del mondo operaio e dell’opinione pubblica democratica lecchese, i quali non avevano certamente trascurato fin dal primo momento di indicare appunto nella logica di un sistema fondato esclusivamente sullo sfruttamento della manodopera le ragioni della sciagura che colpì la città…”.
L’articolo dell’Unità riportava quindi una dichiarazione dell’allora capogruppo consiliare del Pci, Carmine Mecca, a giudizio del quale era evidente che la vicenda andasse molto al di là della persona del sindaco Rusconi e dell’episodio giudiziario.
“Riteniamo di aver assunto una posizione politicamente giusta - dichiarò Mecca al giornalista Redaelli - quando nel febbraio del 1969 conducemmo, insieme con i sindacati, un settore dello stesso Pci e con la grande maggioranza dell’opinione pubblica una chiara azione intesa da una parte a mettere in evidenza le responsabilità politiche, oltre che giuridico-amministrative, della Giunta comunale, dall’altra a collocare al primo posto il problema del recupero dell’intero territorio e delle popolazioni comunali a un civile livello di vita”.

Il servizio così si chiudeva: “A distanza di tre anni dall’episodio che ha dato origine all’attuale vicenda giudiziaria, il problema del San Martino e della condizione idrogeologica della montagna lecchese è ben lontano dall’essere stato affrontato e risolto”.

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