2018-06-10

IL POTERE DELLA BANALITA’

Enrico Magni
Nell'ipermodernità liquida, frammentata, fluida, sovranista e globalizzata il senso comune si è trasformato in un sentire banale. Il potere banale è un potere che si presenta con il volto dell'apertura all'inclusione degli assomiglianti, riduce il tutto all'appartenenza del Totem. Chi è fuori dal regno e dallo spazio onnipotente del Totem – chiesa, esercito, famiglia, patria, confine, partito, movimento, gruppo – appartiene a un altro mondo, è, per definizione, pericoloso. Chi dissente dal Totem è considerato un traditore e va isolato.

La banalità è una qualità che raffigura uno stato psicologico individuale e sociale di come sono percepiti e vissuti gli affetti, le interazioni sociali, le conoscenze, la politica. 
L'essere banale è una condizione individuale e sociale che non si contrappone  a essere importante, rivelante, affermante, big. Essere banale significa essere un individuo che si accontenta, che è soddisfatto, che è felice di condividere una condizione del senso comune e s’identifica con il «sano intelletto» e con il «buon senso» che è dotato d’immediata certezza. 
L’espressione rievoca la locuzione greca «sensazione comune», con cui Aristotele designa - nel De sensue nel De anima- l’atto percettivo che fonde in unità i dati dei vari organi di senso, riferendoli all’unico oggetto da cui sono determinati: la «sensazione comune» accompagna ogni esperienza sensibile e ne rappresenta l’autoconsapevolezza. Cicerone se ne serve per designare l’insieme delle nozioni e delle credenze su cui esiste un implicito accordo da parte di tutti gli uomini: «communis consensus». Nel settecento l'aggettivo banale – francesismo che deriva da banal – significa «appartenente al signore» e «comune a tutto il villaggio», invece nell’epoca moderna diventa «bando»,  che sinonimo di  scarso rilievo, insignificante. 
La psicologia della banalità si fonda sul sentire comune e la persona sente e favorisce le cose che  evidenziano questa appartenenza e identità. Il diffondersi dello stesso sentire  convince l'individuo a sentirsi parte di una stessa sensazione: sentire è un atto primordiale che non sempre si coniuga con il cogitare. E’ la vecchia diatriba cartesiana della modernità in interazione o parallela alla postmodernità.
L'individuo banale è colui che condivide la semplificazione delle cose, fa propri i pregiudizi o semplici e ricorrenti giudizi. Fa del sillogismo il suo modo di pensare: Giovanni è un immigrato, tutti gli immigrati rubano, quindi Giovanni ruba. 
La tipologia del pensiero banale è caratterizzata da un pensiero semplice, concreto, deduttivo, razionalistico, associativo, assimilativo e da un processo lineare breve composto di cause ed effetti: il pensiero banale si contrappone al pensiero  multiplo, inferenziale, induttivo probabilistico. 
Il  modo degli affetti e delle emozioni del sentire banale  si articola con on o off – disgiunzione -: o sì  o no; o mi ami o mi odi; o sei amico o sei nemico; o sei vicino o sei lontano; o sei bianco o sei altro.
Il quotidiano banale è caratterizzato da opinioni che condividono lo stesso sentire, lo stesso linguaggio, in modo che siano il più simile, il più comprensibile, il più condivisibile nell'abbigliamento, negli slogan ricorrenti. Il banale è un processo psicologico che si estende orizzontalmente tra le varie stratificazioni sociali e intergenerazionali generando una doxa comune. 
La banalità quotidiana è caratterizzata dalla negazione della complessità. C'è nella banalità quotidiana un meccanismo di rimozione della complessità, della diversità, della differenza, della pluralità. La banalità quotidiana necessita di rassicurazione, accudimento; il banale  è alla ricerca di un codice materno che rassicuri dal male che è, non dentro di Sé ma, fuori di Sé. 
La banalità quotidiana è l'utero rassicurante anestetizzato; è la risposta reattiva alla complessità dell'essere che è percepita come un mostro deformante del quotidiano banale rassicurante e tranquillo.

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