2018-02-11

Il rito del carnevale

Enrico Magni
Il rito del carnevale segue una sua liturgia ritualistica, col gioco del trasformismo della maschera coinvolge la natura e recupera la dimensione inconscia dell’ambivalenza, dell’identità individuale e sociale: il carnevale è diventato un grande business intergenerazionale della globalizzazione.
Il rito del carnevale è collegato con la creazione,  con le divinità che portano caos per far nascere  qualcosa di differenziato dall'ordine sterile.

Il carnevale ritualizza  il  momento precedente della creazione che è fatto di mancanza di giudizio, di libertà totale che mai l’umano potrà sperimentare se non limitatamente: non sempre il carnevale è connesso alla presenza di maschere.
I romani festeggiavano il nuovo anno vestendo un uomo con la pelle di capra, lo portavano in processione mentre gli astanti lo colpivano con bacchette, lo chiamavano Mamurio Veturio.
Nella cultura babilonese il processo originale della creazione, dopo l'equinozio di primavera, veniva  ritualizzato con una guerra simbolica tra il dio Marduk e il drago Tiamat.
                                                       


Nella società globalizzata viceversa il carnevale è un momento puramente economico, la sua dimensione animistica è completamente censurata, collocata nell’angolo della memoria arcaica, pastorale, agricola, premoderna.
I riti sono ricorrenze che coinvolgono l’individuo, la famiglia, il gruppo, il clan, la società e mettono in risalto i costumi, le tradizioni e investono la quotidianità materiale e immateriale.
I riti sono delle forme fondanti della vita dell’individuo, sono passaggi di iniziazione che vanno dalla nascita alla morte e sottolineano l’appartenenza, l’identità, il credere religioso.
Ogni cultura è dotata, per la socializzazione all’interno di una certa concezione mitica del futuro, di una serie di rituali che ne perpetuino il mito. 
I rituali sono indispensabili per garantire la sopravvivenza dei miti fondativi della cultura di appartenenza e sono necessari per favorire l’ingresso ai nuovi movimenti culturali che condividano i miti della società ospitante. Con i rituali la maggior parte delle civiltà sono riuscite a custodire, a rigenerare i paradigmi socio-culturali di base per migliaia di anni.
La globalizzazione al contrario li pianifica, li esporta da una parte all’altra del globo, svuotandoli della loro funzione catartica e sacrale; il rito e il rituale diventano un oggetto da consumare, da godere e usare in giornata.
I riti di esportazione maggiormente gettonati nella società globalizzata – Halloween - provengono dalle società dominanti svuotate dal sacro. I riti come aggregatori sociali sono spogliati dal loro significato magico, animistico, religioso, folcloristico e sono diventati dei rappresentati consumistici da vendere, consumare e triturare.


 Stanno scomparendo le ritualità di passaggio come i battesimi, i matrimoni e prevalgono forme più commerciali che razionalizzano l’evento. Lo stesso rito di passaggio dalla vita alla morte si sta spogliando del fantasma, prevale la dimensione della razionalità opportuna, dell’esclusione, della chiusura, della privatizzazione della stessa morte. Sono solo delle subculture a ritualizzare l’esorcizzazione della morte.  La perdita della ritualità nella società globalizzata non cancella il bisogno di scongiurare la paura, il nuovo, il male, la morte, l’ignoto. I nuovi sostitutivi  degli amuleti, dei santini sono le slot machine, i video giochi, i maghi, gli indovini, i guaritori: sono gli stregoni di questa società globalizzata.





Nessun commento:

Posta un commento